Dal Venezuela all’Italia, da una prima adolescenza difficile a una seconda pienamente goduta, la tua biografia descrive una persona in costante movimento, e in perenne indecisione sulla prossima mossa da fare. Da dove arrivano queste caratteristiche? Pensi che siano congenite oppure hanno una data di nascita e della cause ben precise?
Insomma, di congenito ho ben poco, potrei definirmi una persona decisamente mutevole, con una forte tendenza alla poliedricità. Oltretutto vengo da una famiglia con il culto dell’accontentarsi e ringraziare Dio per ciò che si ha (cosa che trovo giusta, ma vagamente limitata) e non hanno una data di nascita, o non credo di ricordarla, ma sono abbastanza sicuro che si sia evoluta tra le pagine di libri vari e dei disegni sui banchi. Penso che questo mio atteggiamento, una continua ricerca di qualcosa sempre nuovo e interessante, sia un bel modo di spaziare e conoscere, ma spesso mi rende inconcludente, lasciandomi in una vaga e generica conoscenza delle cose. Credo, inoltre, in un concetto già espresso da un filosofo che apprezzo molto: di essere, cioè, come molte — se non tutte — persone, schiavo dell’infinita possibilità di scelte e possibilità che ci si presenta davanti, incapace di seguire un percorso senza pentirmi di non averne preso un altro, incapace di di seguire, senza esserne annoiato, lo stesso percorso.
Iniziamo con le domande difficili: in che modo il dinamismo di cui discorrevamo poco fa riesce a tradursi nella tua arte?
Più che nella mia arte in sé, si potrebbe dire che si traduce nel modo in cui decido di esprimere arte in quel dato momento. Ma l’arte è un filtro, un espediente, per esprimere quello che sento o quello penso, che sia noia o eccitazione. Di conseguenza si crea un’urgenza, essendo queste sensazioni effimere, e avere molti strumenti mi permette di avere sempre un possibilità di esprimerle a portata di mano, che sia una videocamera o un pennello.
Ma più nel particolare, mettendo in comune i lavori che effettivamente ne vengono fuori, si traduce in un uso, quasi mai studiato, di simboli, spesso incongruenti tra loro e senza la necessità di un significato, a parte forse alcuni. In progetti sempre in via di sviluppo, senza che l’idea data per definitiva debba essere poi identica al lavoro che ne esce. Questo, almeno, lascia molto spazio all’errore, del quale sono un grande fan: spesso la pennellata migliore viene data per sbaglio. Nella moltitudine di riferimenti culturali sempre vari, diversi e spesso contrastanti.
Soprattutto nel tuo caso, dal momento che non hai scelto un’arte nello specifico, ma l’arte nel suo complesso, mi sembra interessante chiederti del processo creativo stante alla base delle tue creazioni. Come avviene? È sempre lo stesso? Oppure varia in al variare al tipo di arte che devi eseguire in un dato momento?
Come ho detto, un’arte che necessità di esprimere qualcosa crea un’urgenza — chiariamo: non una fretta o una nevrosi. Semplicemente, è più facile trasmetter qualcosa nel momento in cui essa nasce, che sia attraverso magari un appunto o una poesia, per tornarci anche in futuro, o uno schizzo sullo scontrino del bar. Questo per dire che l’uso di forme ed espressioni diverse assume anche una funzione pratica da questo punto di vista.
Il processo creativo non muta molto, i riferimenti, l’universo simbolico dietro un video o dietro una foto rimane quello. Il tipo espressione che intendo usare ne cambia, però, la durata. Ovviamente alcuni tipi di lavori richiedono un certo tipo di elaborazione e di tempo, e sono così soggetti a più possibilità di cambiamento e modifiche, mentre altri sono molto più immediati e altri non penso abbiano dietro nessun processo, solo una mano con una penna che si tiene in esercizio e passa il tempo.
Hai parlato di un cambiamento radicale durante il liceo, a causa di una delle — parole della biografia — “[tue] migliori decisioni”. Dal momento che, però, tanti preadolescenti entrano in crisi proprio a causa di decisioni sbagliate, quali credi siano stati gli ingredienti che ti hanno portato a prendere una decisione giusta? Fortuna, bravura, entrambe, nessuna delle due?
Per quanto riguarda quella data decisione direi istinto, non che in altri momenti abbia funzionato, ma quella volta direi che la ricordo come un tipo di decisione senza dubbi. Il che è strano, ma mai stato così certo e convinto di fare qualcosa, il che è bellissimo. Ho sentito che non prendevo una decisione fra dovere o piacere, perché realizzavo entrambi. Direi, però, che purtroppo non succede spesso.
Dopo qualche illustrazione ad agosto, sei diventato componente fisso della nostra redazione. Cosa ti aspetti da questa esperienza?
Non mi aspetto niente e mi aspetto tutto. Chiarendo, non mi creo aspettative e non intendo fare richieste — se non una: che sia interessante. Mi aspetto, infatti, di tutto dagli articoli e i temi che mi capiterà di affrontare, illustrare o, perché no, discutere. Quello che cerco, nelle persone, nei rapporti umani, nella natura o nell’arte, è sempre qualcosa di interessante. Che è, infatti, il complimento migliore che io posa fare ad una persona.
Abbiamo inaugurato, con l’ultimo editoriale, un'”ala” di ricerca nella nostra redazione, cercando di innovarci, sperando di migliorare e diversificare i diversi contenuti. In che modo tu cerchi, invece, di innovare, di migliorare e di crescere con la tua arte?
A questa non saprei come rispondere, ma direi che lo faccio come chiunque altro è cresciuto. Assorbendo, ascoltando, appuntando o leggendo. E non solo ciò che viene ritenuto di alto valore culturale, non mi è mai piaciuto l’atteggiamento da élite pseudo intellettuale che spesso si crea in ambienti accademici o un po’ dappertutto. Quando dico leggere intendo anche i cartelli stradali o i fumetti di Paperino, quando parlo di guardare intendo anche i peggiori programmi in televisione e i film ritenuti “trash”, quando ascolto musica perché non passare da Guccini e Gaber alla musica K-pop. In fondo non è granché: è quello che facciamo tutti — o, almeno da bambini, sicuramente: assorbire il mondo come spugne e farci assorbire a nostra volta, cercando sempre stupore e meraviglia. Anche nei termosifoni o su quanto suoni bene, staccata da ogni contesto e significato, la parola ciotola.
Federico