Si dice che dalla vita si possa trarre ispirazione. Sono stati giorni affannati, i miei, metodici e per niente meticolosi. Più che mai, adesso, dovrei scrivere. Senza inventare, semplicemente raccontando.
Così, mentre mi arrovello il cervello fumando, penso al signore del condominio accanto che alle tre di notte recita un copione; ieri sera parlava di Gesù e se la rideva a crepapelle. Lo guardavo nella luce calda oltre gli infissi fare avanti e indietro, immaginavo il sogno di una vita: un’immedesimazione nel ruolo. Oppure all’isteria che trovo in certa gente a lavoro; ai film che da tempo non guardo più e alle differenze tra Cinema e Letteratura che a livello accademico ci hanno insegnato, sottolineandone le differenze. Penso a certa gente. Alle cose di cui vorrei parlare in una serata come questa davanti a un boccale di birra. Al fatto che non so come si faccia una presentazione e che sto divagando. Quanto sono vulnerabile nei miei scritti? E quanto poco invece lo sembro nella vita vera? Ecco, proprio qui volevo arrivare.
Tracciare una linea, chiamare all’imbarco.
Quando ho iniziato ad occuparmi di poesia, ho considerato l’idea di scrivere su persone incontrate soltanto una volta. Il primo era un pazzo, a Stazione Tiburtina, ormai prossima alla riqualifica. La seconda una signora anziana di trenta chili seduta nell’Atac. La terza una compagna di corso con degli orecchini di perla. La quarta ero io.
Proprio ora, e vi giuro, tossiscono nel palazzo accanto. Stamani una disinfestazione, a detta dell’avviso, innocua e per niente nociva. Io ho lasciato i panni stesi… per sbaglio.
Se potessi raccontarvi, amici, di quello che non so, mi nasconderei propriamente nei vestiti di un altro. Non vi direi che sto meglio, anche se ho bisogno di partire, né degli amori persi o di quelli mai vissuti.
Mi calerei in tre volti, tre atti. Registrerei mentalmente i dialoghi come Raymond Carver e poi vomiterei tutto fuori. Vi sentireste meglio se sapeste di poter essere, anche solo per un momento, qualcun altro? Non è quello che si fa spesso nel sesso quando ne si teme l’intimità?
Per questo, la scrittura svela e poi mette all’angolo. Ci rende i protagonisti che non sempre siamo in grado di interpretare. Ci caliamo in personaggi, nel cuore della notte, disegniamo personaggi.
Io questo voglio fare.
Sebbene sia trascorso il mese della narrativa, ho deciso di raccontarvi tre storie, tre diversi protagonisti con tre diversi modi di raccontare.
Sarà un percorso senza continuità né costanza, ben diverso dall’orologio di mio padre che ogni sera necessita la carica. Un esercizio dilettevole sul nulla. Soltanto per capire se ne sono ancora capace. Se la fretta, tutto sommato, può renderci comunque in grado di sognare.
Le mie storie: “Primo atto“, “Secondo atto” e “Terzo atto” avranno ognuna un proprio sottotitolo, un interlinea umano agli occhi di chi legge.
Proprio come in ogni narrazione che si rispetti, mi sentirò come tra i bordi di una strada: da un lato chi vive, dall’altro chi guarda.
Voglio solo raccontare.
Sì, io questo voglio fare.
Francesca G.
Grazie per queste parole
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