Lo scenario che si è aperto dinanzi a noi alla fine del secolo scorso ha creato diversi dibattiti, innescando così un processo di formazione di diverse correnti artistiche moderne; si considera, infatti, la fine del millennio scorso come un periodo di luci e ombre per mille motivi diversi. La tecnologia sforna novità ogni mese, mentre in politica internazionale la Germania Est e Ovest si sono riunite; la guerra fredda stava oramai allentando le sue tensioni; nasce l’UE a Maastricht; si ratifica il protocollo di Kyoto sull’effetto serra e continua la guerra in Cecenia oltre che in Afghanistan.
Questa è la cornice nella quale l’embrione del rap comincia a formarsi, e con il tempo si è propagato sempre di più verso il vecchio continente. Dopo aver spopolato negli USA sotto forma di protesta, il rap ha infatti agito da virus, contagiando con la sua grinta e veridicità gran parte dei giovani che si sono riversati sempre di più nei parcheggi, nei parchi, nelle strade a rappare e scoprendo il freestyle. Gli MC (maestro di cerimonia) – che si insultano, collaborano, rappano ad argomento, sempre a suon di rime – ricordano gli antichi canzonieri che andavano in giro per il mondo a rimare per migliorare le proprie poesie, e che spesso così si imbattevano in altri colleghi con i quali si intrattenevano.
Le origini del rap affondano le proprie radici in altri generi musicali come ad esempio il reggae, il jazz, il funk e soprattutto dall’R&B (Rhythm & Blues) da cui ha tratto la ritmicità.
In Italia si suol dire che la prima canzone rap sia stata di Jovanotti – in particolare, la canzone incriminata è “Jovanotti for President” del 1988, con il Boom Bap sul beat e lo scratching, due fondamentali di questo genere. Che sia stato un visionario Jovanotti è emerso proprio in questa circostanza: anche l’anno successivo tentò una canzone con il sample del riff di chitarra degli AC/DC nella canzone rappata “La mia moto”, ed ebbe un grande successo.
Molto più vicina al rap per come lo conosciamo oggi però è stata “Batti il tuo tempo” degli Onda Rossa Posse del 1990 che ha permesso alle Posse di esordire (apriranno una stagione decennale con il gruppo 99 Posse che scriverà la storia del primo decennio di rap in Italia) sul palco e di essere i veri pionieri in Italia del Rap politicizzato, proprio come farà Caparezza dieci anni dopo con il suo primo album “?!”.
Ma la forza anticonformista e travolgente del rap sta solo muovendo i primi passi; esordiscono infatti anche i programmi dedicati all’hip hop come “One two one two” permettendo ad artisti come Neffa, gli Articolo 31 di J-Ax di conquistare la scena e di mettersi in luce nella prima metà degli anni ’90, così come i Sangue Misto e Dj Gruff che ha prodotto le basi di Kaos One. Quest’ultimo è un rapper casertano che ha esordito in questo settore a metà degli anni ’80 come writer e come ballerino di break dance per poi scoprirsi un talento al microfono e affiancare i Colle der Fomento nel loro disco “Odio pieno” aumentando la propria visibilità. In questo periodo i walkman cominciano a vedersi sempre di più per le strade italiane, i ragazzi cominciano a manifestare serio interesse per questo nuovo genere che sta pian piano acquisendo popolarità e successo. Ci ha provato la mentalità conservatrice ancorata a convinzioni obsolete e bigotte a intimidire i paladini di questa nuova corrente artistica poiché la giudicavano non consona alla musica trasmissibile attraverso radio, concerti o manifestazioni. Ma ormai era troppo tardi per fermare lo tsunami mediatico che avrebbe travolto il mercato musicale con l’avvento ufficiale di questo nuovo genere sancito ufficialmente dal primo disco di rap italiano distribuito da una major: “Verba manent” di Frankie Hi Nrg. A riprova dell’ormai totale affermazione del genere è anche la prima edizione del Hip Hop Village del 1995 a cui parteciparono appunto DJ Gruff, Kaos e una delle pietre miliari del rap in Italia: Bassi Maestro. Classe, stile, punchline, liriche mai sentite prima nel nostro paese – queste le parole più calzanti per il rapper milanese. L’appellativo (“maestro”) non è mai stato messo in dubbio; 34 album pubblicati dal 1988 ad oggi e senza mai scendere di livello, venendo idolatrato da qualsiasi artista italiano. Il suo secondo album esce nel 1998 avviando la stagione del rap conscious; si intitola: “Foto di gruppo” e si tratta di un disco che scava più in profondità nell’artista, dove risulta evidente un una maggior attenzione alla profondità lirica dei testi. Qui si confronta con il tema dello scorrere del tempo della fragilità dei rapporti umani, per sopperire a questa problematica propone di rifugiarsi nella musica che ci fa riaffiorare dei ricordi e ci permette un distaccamento dal mondo reale per immergersi a fondo in questi rewind psicologici. Affianco al maestro, non si possono non citare anche i 99 Posse, attivi dal 1991 a oggi seppur abbiano sospeso il gruppo per 7 anni tra il 2002 e il 2007) i Cor Veleno (cui esponente era anche il defunto Primo Brown) e i Sangue Misto. Siamo nella cosiddetta golden age del rap in Italia, e loro ne sono i protagonisti assoluti. Hanno concettualmente ideato la grammatica italiana per fare rap, istituendo un manuale di teoria delle rime a chiunque si sarebbe appassionato a questo genere.
Verso la fine dei ’90 inizia a farsi sentire forte la voce della scuola milanese. Dopo la consacrazione di Bassi Maestro e degli Articolo 31 (che il 20 dicembre 2000 faranno anche uno storico concerto esclusivo per i carcerati di San Vittore ricordando che siamo tutti persone e che anche loro meritavano una degna consolazione per le feste natalizie, la città intravede in fondo alla nebbia tipica della Padania un bagliore ottimistico in lontananza. Trapela un futuro ricco di musica, cassette, vinili e di subwoofer sparati al massimo dalle FIAT Ritmo che porta sui palchi della città meneghina alcuni dei rapper più autorevoli dei successivi vent’anni (e forse più): parlo dei gruppi di Uomini di Mare (con Fabri Fibra l’unico marchigiano del gruppo) e di Sacre Scuole (con i futuri Club Dogo).
Siamo nel 1999, l’ultimo anno del millennio, per alcuni quello dell’apocalisse, e mentre in alcune case la gente recita le preghiere per non far finire il mondo, dalle case discografiche rispettivamente di Teste Mobili Records e dalla Funk-U-Low escono due capolavori: “Sindrome di fine millennio” e “Sacre scuole”.
Il primo è l’unico album in studio registrato dagli Uomini di Mare dai quali Fabri Fibra prese velocemente le distanze a seguito di alterchi interni; mentre il secondo comprendeva Jake la Furia (aka Fame), Gue’ Pequeño (aka Il Guercio), Don Joe e Dargen D’amico. Qui si concentrano delle liriche molto aggressive e ricorrono molto anche nell’intro: “Apocalisse ora” ispirata dalla sigla dell’intramontabile Ken il guerriero.
Siamo giunti così al 2000, il cielo è terso, e quella patina che obnubilava il futuro di questo genere si sta pian piano assottigliando. La gente faceva rap per diletto o per necessità. Necessità di esprimersi, di raccontarsi, di coinvolgere il prossimo con una nuova forma di poesia che si stava proclamando come la vera alternativa al rock come forma di protesta, come forma di comunicazione, come forma di autoaffermazione e di emancipazione della musica dalle catene di una stantia e decadente mentalità perbenista.
“Va così ti accorgi che lo scatto è mosso e fuori fuoco
Ma è troppo tardi per fare uno spreco dei momenti che affronti
Degli imprevisti che ti tocca vivere
Pagando in contanti per poter scrivere
Di qualcosa con il rischio che non accada
Di qualcuno con il rischio che non ti veda
Del motivo che ci accomuna dentro la cornice
Ancora troppo sveglio per dormire” – Bassi Maestro, Foto di gruppo
Dario Bartolucci Lupi