La prostituzione e i suoi nuovi significati nell’epoca moderna

Negli ultimi tre decenni l’espansione dei mercati ha interessato sfere della vita privata che prima erano estranee alle logiche di compravendita: privatizzazione di scuole e ospedali, assicurazioni sulla vita, estensione delle pubblicità nei luoghi pubblici… Il mercato sembra ormai controllare ogni aspetto delle nostre vite.
Problematizzare l’allargamento dei mercati significa indagarne le implicazioni morali e le conseguenze pratiche ed etiche sulla società odierna. Attività economiche e valori morali si influenzano reciprocamente; mettere in vendita un bene e assegnargli un prezzo ne modifica il valore e altera il comportamento dell’uomo verso il bene stesso.
Cosa succede allora quando a essere messo in vendita è il corpo, e in particolare il corpo femminile? E quando con il corpo si mette in gioco la sessualità, cosa ne va del proprio essere?

Nell’ultimo decennio, il mercato del sesso è stato protagonista di repentine trasformazioni: oggi comprende una grande varietà di beni e servizi, accomunati dall’uso intermediario di denaro per l’ottenimento di un servizio o bene di tipo sessuale. Quando si parla di prostituzione quindi non ci si riferisce più solo alla nota prostituzione per strada, ma anche all’uso di linee erotiche, locali di intrattenimento sessuale, materiale pornografico, oggettistica erotica…
L’analisi della commercializzazione della sessualità non può sottrarsi alla messa a fuoco del contesto fortemente patriarcale e maschilista in cui la pratica ha luogo, in una cultura ampiamente oggettivante e sessualizzante nei confronti del corpo femminile e che ha come unico protagonista l’uomo bianco, etero e cisgender. È su questo scenario che prende forma la discussione interna alla prostituzione sui rapporti tra genere, sessualità e potere.
L’emancipazione di cui sono state protagoniste le donne negli ultimi tempi ha partecipato a quel processo di dissociazione tra sesso e riproduzione, andando a delineare nuovi confini tra sesso, amore ed erotismo. In seguito a questa separazione l’attività sessuale volta unicamente al piacere chiama a sé una dimensione distinta ma non necessariamente conflittuale, come si sarebbe portati a pensare, rispetto a quella affettiva. Sesso ricreativo e sesso “affettivo” non si trovano in una relazione di esclusione, ma vengono spesso intesi conflittualmente quando rivisti in rapporto a mercato e sessualità “relazionale”. Inoltre non vi è possibilità di distinguere così nettamente e classificare i due orientamenti: il sesso ricreativo non nega un’emotività propria così come i rapporti sessuali interni a una relazione amorosa non possono essere chiaramente svincolati da logiche economiche. Si può più facilmente parlare di continuità tra attività economiche e intimità piuttosto che di dicotomia. Il modo in cui viviamo i rapporti intimi e sessuali non può essere infatti chiaramente distinto dai rapporti economici e di potere; l’idea di una intimità pura, completamente svincolata da ogni riferimento al denaro o al lavoro rimane perlopiù un’illusione e risultato di un’ingenuità dell’età moderna che tenta di tenere stretti a sé valori e principi di una realtà romantica fortemente idealizzata.

Ma che valore assume il denaro all’interno del mercato del sesso? Contro la visione degradante per cui l’intimità e la stessa prostituta si vedrebbero corrotti nel proprio valore con la vendita, il pagamento delle prestazioni sessuali può costituire per le lavoratrici sessuali lo strumento per una conferma del proprio potere seduttivo e della loro capacità professionale. Ricordiamo come fino a due secoli fa anche offrire la propria voce o il proprio talento nella recitazione fosse considerato una forma di prostituzione. Il problema più urgente è quindi quello della stigmatizzazione della prostituta, risultato degli atteggiamenti moralistici che temono sempre più il potere dell’espressione sessuale femminile. I problemi associati al mercato del sesso riguardano molti altri tipi di lavoro e pratiche socio-culturali e nel caso della prostituzione sono da rintracciarsi nelle condizioni di lavoro e nel trattamento da parte di terzi.

A chi sostiene che la prostituzione implichi la vendita del corpo è da chiedersi: in che senso si vende il corpo? Quale mestiere non esige un uso del corpo?
Chi fa lavoro sessuale, come altri professionisti, stabilisce i propri confini. Confini che aiutano a lavorare in sicurezza, a preservare la propria sfera personale e intima: la sex worker non è un oggetto in balia dei desideri dell’altro ma è una soggettività pensante, desiderante, capace di fare richieste e stabilire limiti.
Coloro che sostengono che il sex work implichi la vendita del corpo solitamente ritengono che assieme al corpo si venda anche la propria intimità e che questo ovviamente sia un male. Chiaramente non si può negare la particolarità del lavoro sessuale perché comporta l’utilizzo della propria sfera sessuale e l’incontro con la sfera sessuale di altre persone e, almeno culturalmente, la sessualità ha un peso diverso rispetto ad altri aspetti del sé. Ma il significato di intimo non è universalmente valido e per questo non coincide necessariamente con il sesso. Anzi, oltre a variare da persona a persona, anche socialmente può modificarsi nel tempo. Dove risiede la mia intimità? In tutto il corpo, in una sola zona, nei miei pensieri, o anche in una relazione? Ha un luogo e può essere dunque violata, o è qualcosa che entra in gioco in modi diversi in base a contesti e persone? Può qualcun altro stabilire per me cosa è intimo e cosa no? Per la prostituta, come per chiunque, l’intimità può essere associata ad alcune pratiche sessuali/affettive specifiche e non alla sessualità nella sua totalità. 

Indagare il fenomeno della prostituzione, infine, significa anche affrontare la questione del potere. Le risposte su chi eserciti il potere all’interno della relazione tra clienti e prostitute non sono univoche. Da una parte avremo prostitute che richiamano a sé un controllo sulla loro sessualità anche maggiore rispetto a quello tenuto dalle donne non prostitute, dall’altra non mancano testimonianze di donne del settore che riportano un vissuto di abuso sessuale e stupro. Un ruolo determinante nell’interpretazione della prostituzione è da attribuirsi alle istituzioni sociali e politiche che, tramite discorsi e modelli legislativi, investono di significati la pratica.

Il dibattito  sulla prostituzione, e sull’articolazione del potere nella sua pratica, ha generato una profonda spaccatura all’interno del movimento femminista: da una parte, le cosiddette femministe abolizioniste che vedono nel lavoro sessuale il simbolo dell’oppressione e della mercificazione della donna; dall’altra, le femministe pro sex worker che fanno della prostituzione la bandiera della libertà sessuale femminile, una sessualità di cui le donne si riappropriano attraverso il mercato del sesso e tramite cui sovvertono l’ordine sessuale di una società ancora maschilista. Si impossessano dell’immagine della “puttana” per criticare i modelli contemporanei di femminilità e sessualità promuovendoli in forme più libere. Cosi anziché essere una manifestazione dell’oppressione maschile la prostituzione funge da manifesto vivente di una resistenza e di una sovversione culturale al patriarcato e diventa lo spazio dove esperire l’ordine sessuale in modo attivo.

La speranza è quella di andare verso nuove direzioni che rendano possibili delle sensibili trasformazioni del mercato del sesso, in forme meno oppressive per le prostitute. Perché questo accada è necessaria una nuova consapevolezza che chiama in causa tutti. Bisogna investire su strategie educative volte a scomporre i modelli di genere e sessuali dominanti, per favorire la liberazione di desideri, piaceri ed emozioni.

Lorenza Azer

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