Il mondo è salvo. In barba a tutti quei complottisti apocalittici che auspicavano la fine del mondo per la conclusione del millennio, e seppur non ci sono andati nemmeno troppo lontani (per tutti i problemi causati dall’inquinamento globale, dallo scioglimento delle calotte polari, dal terrorismo, o da quegli insopportabili tormentoni estivi che ci perseguitano per metà anno…) possiamo dire di essere sopravvissuti a questo presunto armageddon.
Il fenomeno della musica rap in Italia ormai ha assunto un profilo sempre più concreto e autonomo. Si formano le prime label e diverse crew di rapper che inaugurano in questo modo la seconda generazione di rapper nel Belpaese mentre gruppi già noti al grande pubblico prendono strade diverse, come accade agli Uomini di mare e agli Articolo 31 da cui rispettivamente emergeranno come solisti Fabri Fibra e J-Ax. Si conclude così drasticamente il breve capitolo della golden age del rap, e ad esso consegue un parziale declino del fenomeno hip hop negli anni successivi.
In una cornice di sindrome da inizio millennio, rapper emergenti (di cui il caso più emblematico fu quello di Neffa) dirottarono le proprie attitudini musicali verso altri generi più facilmente commerciabili, avviando una breve crisi per il rap, che rischiava di essere soppiantato, cosa che fortunatamente non accadde mai.
Non appena avvenuta la separazione dagli Uomini di Mare, nel 2002 Fabri Fibra ha fatto uscire “turbe giovanili”. Fu il suo primo album da solista dove parlò spregiudicatamente dei propri problemi sociali, sottolineati ed enfatizzati due anni dopo nel disco più sconvolgente mai pubblicato da un’etichetta in Italia: “Mr. Simpatia”. Questo disco ha destato molto scalpore per i suoi toni molto espliciti e per un linguaggio decisamente non allineato a quello che soleva sentirsi in radio. Tuttavia è stato geniale poiché ha pienamente raggiunto il proprio fine: ha portato all’estremo la propria forma d’arte per ottenere un’affermazione totale ed un progressivo sdoganamento della stessa. Una sorta di dadaista del rap, che ribalta la concezione della musica “perbenista”, esaltando la componente più grezza della stessa per esplicitare con maggior impatto il proprio messaggio di risentimento e di rabbia.
Con toni e liriche decisamente meno volgari nel 2003 viene pubblicato “Verità supposte” di Caparezza, dove il rapper di Molfetta si è ufficialmente guadagnato la corona di poeta contemporaneo. In questo album troviamo un esemplare compendio di contenuti ricercati e rime sofisticate, un album di estrema qualità etichettato come il 28° album più bello della storia della musica italiana ad oggi da Rolling Stone Italia.
Questo disco racchiude diversi aspetti della vita e della filosofia del rapper, ad esempio la canzone “Fuori dal Tunnel” (nonostante l’enorme successo riscosso che gonfiò parecchio le vendite, fu la meno apprezzata da Caparezza stesso perché non venne recepita dal pubblico per il vero significato che voleva trasmettere) che parla dello stile di vita semplice e anticonvenzionale proprio del rapper, “Follie preferenziali” che condanna la guerra in ogni sua forma, “Vengo dalla luna” dove denigra il razzismo e altre 11 tracce degne di essere studiate e analizzate per decriptare al meglio tutti i messaggi che l’artista vuole mandare. E lui, un artista, lo è di professione.
Ma non c’è solo il sommo Capa, il rap in questi anni si è propagato a macchia d’olio. A Milano i Club Dogo fanno uscire una colonna portante del nostro rap: “Mi fist”, mentre a Bologna i 99 Posse passano il testimone ad un giovane rapper di strada, uno di quelli che sputa la sua vita senza alcun remore delle conseguenze, parlo del giovane Inoki Ness, che con “Bolo by Night” e “Non mi avrete mai” seguita e consolida la tradizione di rapper emiliani.
Le liriche e gli argomenti cominciano a variare, il classico Boom Bap e il rullante sono accompagnati da sempre più strumenti e subentrano anche le prime basi digitali che costituiranno l’elemento portante per commercializzare il rap e renderlo fruibile anche dai non appassionati. Oltre a questo però non possiamo non menzionare la rapidissima profusione del freestyle come vettore trasportatore del rap in ogni sua provincia. Si tratta un fenomeno sociale che giunse capillarmente in ogni centro urbano. Questo creò poli di aggregazione per giovani dove potevano aguzzare le loro abilità tecniche e canore in strada, con un pubblico di una decina di amici e un rivale con cui intraprendere scontri memorabili e indelebili nelle menti dei presenti.
Così si sono fatti strada due colossi del rap meneghino: Mondo Marcio ed Emis Killa. Il primo diventò conosciuto dopo una celeberrima sfida di freestyle contro Ensi nella finale del contest di “tecniche perfette” dove il milanese ebbe la meglio. Il secondo era uscito anch’egli vincitore nel 2007 dell’ambitissimo premio che sanciva il miglior freestyler in Italia, per poi calcare i palchi più importanti d’Italia senza mai fermarsi. Per lo stesso motivo erano popolari gli “Onemic” di Torino. Un gruppo fondato nel ’99 proprio da Ensi con Raige e Rayden, divisisi nel 2006 per intraprendere carriere da solisti. Delle tre, quella del primo fu sicuramente la più prolifica grazie alla sua abilità tecnica, alle sue punchline, (che hanno sempre fatto da sovrane in Italia almeno per quello che riguarda il freestyle), e alla sua personalità da lottatore di box che rispetta sempre l’avversario, che gioca sempre pulito ma che vince sempre per knockout.
Il vento del cambiamento arriva anche nell’Italia meridionale e il freestyle napoletano comincia a destare sempre più interesse. In particolare dopo che Clementino, un rapper di Nola, si profilò come uno dei migliori prospetti sulla scena vincendo diverse sfide e premi. Ci riuscì, non solo per la dimestichezza con la quale riuscì a coadiuvare l’italiano con il dialetto napoletano, ma anche perché stavano diventando popolari i pezzi in extrabeat (rappati molto, molto velocemente), un suo cavallo di battaglia.
Sull’extrabeat hanno costruito le fondamenta anche molti dei più importanti rapper italiani come Gemitaiz, Madman, Sercho e Low Low, Fred de Palma o Nitro.
Lo stivale suona tutto la stessa musica, il rap, è diventato un fenomeno transgenerazionale dal momento che non si limita più esclusivamente ai giovani, bensì anche le persone più adulte e conservatrici iniziano davvero a carpire il valore artistico di questo nuovo genere e che hanno superato quella soglia linguistico/culturale che inficiava il significato ultimo che era mediato da quella musica trasgressiva. Quei pregiudizi sulla rabbia e sull’aggressività di alcune canzoni sono pian piano più sdoganati e tollerati, sino a quando non vengono addirittura condivisi e idealizzati.
In questo sfondo nel 2008 esce un altro disco molto street, molto crudo, molto rap. Il titolo dell’album corrisponde al nome dell’artista e tale nome sarà uno di quelli più annoverati come il “King del Rap”(infatti chiamerà così un proprio disco): parlo di “Marracash” con cui l’omonimo rapper si mise subito in mostra.
Con la conclusione del decennio si concretizza la totale consacrazione del rap come fenomeno di massa; infatti dopo aver sfornato già 4 album, Fabri Fibra scrive il disco “Controcultura” dove è contenuto il singolo “Tranne te”. Questo tormentone viene passato da tutte le radio, in TV e perfino in discoteca. Il rap è ormai un genere alla stregua degli altri, accettato e condiviso. Si sta già diramando in sottocategorie che si amplieranno sempre più nel tempo, ma questa è un’altra storia…
“Nel quartiere non hai niente ma hai i veri amici,
Non possedere ti rallenta ma puoi riuscirci,
ed ogni anno andavo sempre in ferie giù in Sicilia
In uno diesel,
solo allora rivedevo mio padre felice” – Marracash, Bastavano le briciole
Dario Bartolucci Lupi