L’importanza di un nome

Sono passati tre mesi dal mio viaggio in Slovenia. Se avete letto i miei articoli, vi sarete chiesti come mai è stato necessario spendere così tante parole sulla Valle del fiume Soča, al confine tra Italia e Slovenia. Nemmeno io l’avevo mai sentita nominare prima di quest’estate, almeno non con il suo proprio nome. Se invece l’avessi chiamata Valle dell’Isonzo, di certo avreste avuto una reazione ben diversa. E questo è il motivo per il quale ho scelto di scrivere questa serie di articoli. La Valle del fiume Soča è solo uno dei molti luoghi nel mondo dei quali viene raccontata una sola storia, quella mainstream. Ma è necessario allontanarsi dal “main stream” inteso come flusso principale d’informazioni, e di cercare altre storie da raccontare. 

Anche quella valle dimenticata tra Italia e Slovenia, tanto importante un tempo quanto dimenticata oggi, ha storie da raccontare. In questo caso, come spesso accade, le storie prendono la forma delle persone che vivono tra le Alpi Giulie, che nel corso di un solo secolo hanno visto passare l’Impero Austro-Ungarico, il Regno d’Italia, la Repubblica Socialista Jugoslava e lo stato moderno della Slovenia. Alessandro Leogrande diceva che la frontiera è il termometro del mondo. Per quanto siano i governi a determinare l’inizio e la fine delle guerre, il modo in cui il confine tra due “nazioni” viene vissuto è proprio delle persone che lo abitano tutti i giorni. 

Per questo motivo ho intervistato Jaka Fili, curatore del Kobariški Muzej (Museo di Kobarid) che vive nella Soča Valley. Ero curiosa soprattutto di conoscere il suo punto di vista rispetto all’ignoranza italiana della vera storia di questa zona di confine, così rilevante nella nostra memoria collettiva della Prima Guerra Mondiale. Tuttora, nel nostro paese c’è ancora moltissima ideologizzazione del nome di Caporetto, che viene usato per indicare sconfitte di ogni genere. Nonostante ciò, Jaka Fili sostiene che in genere gli studenti italiani in visita al museo conoscono la storia di Caporetto, anche se solo fino alla Prima Guerra Mondiale, senza alcuna conoscenza dell’imposizione dello stato fascista sulla popolazione slovena occupata. 

Nelle scuole slovene, invece, sembra esserci un altro problema. La storia “scolastica” tratta sia della dominazione fascista sia della Monarchia Jugoslava. Ma si ferma con la Seconda Guerra Mondiale, forse per evitare di trattare la Jugoslavia Socialista, la guerra civile degli anni 90 e l’indipendenza. La Slovenia, quindi, manca di una storia nazionale: forse proprio per quello, nonostante la recente indipendenza, il nazionalismo non sembra aver preso piede. La divisione politicale e socio-culturale che caratterizzò la Slovenia per secoli hanno portato gli abitanti di questo stato a focalizzarsi soprattutto sulla storia locale. Solo dopo la Seconda Guerra Mondiale, la Repubblica Jugoslava attuò al suo interno una divisione sulla base della nazionalità. Data l’ossessione novecentesca con il concetto di nazione, anche gli sloveni sentirono il bisogno di darsi una propria identità culturale. A partire dagli anni ‘60 e soprattutto nel corso degli anni ‘80, in chiave anti-Jugoslava, iniziò a diffondersi la “teoria veneta,” secondo la quale gli sloveni sarebbero discendenti dei Veneti, se non addirittura la popolazione indigena più antica d’Europa.

Secondo questa teoria, gli sloveni sono autoctoni alla propria area di provenienza e non sarebbero “slavi.” Al contrario, la teoria secondo la quale gli sloveni sono discendenti del popolo slavo sembra essere frutto degli storici nazionalisti tedeschi, poi adottata dalla Jugoslavia.
Oggi quest’ultima è la teoria più accreditata a livello internazionale, ma la teoria veneta sembra mantenere il suo appeal e la ricerca accademica sulle origini del popolo sloveno non si ferma. 

Lucia

Per approfondimenti:

– Andraž Jež, “The Venetic theory of Slovenian descent” 
DOI: https://doi.org/10.5117/9789462981188/ngVC6l16hVsR3GiOOWERhCuf

– Veronika Bajt, “Myths of nationhood: Slovenians, Caranthania and the Venetic Theory” 
URL: http://zdjp.si/wp-content/uploads/2015/10/ASHS_21-2011-2_Bajt.pdf

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