6.3 km. La distanza che ci divide in questo momento. In questo momento che ho le lacrime agli occhi, uscite non so da dove, non so quando. Mi bastano poche ore trascorse da sola – ontologicamente da sola, a sé stante dal mondo in cui di solito vivo – perché il flusso nostalgico e lacrimoso dell’esistenza torni a mietere le sue vittime. Le lacrime ora sono arretrate, forse a causa della lucidità necessaria di metterle per iscritto. Ma proprio per questo, di punto in bianco, mi blocco. Non riesco più ad andare avanti e laddove prima mi sembrava di essere vento, ora non c’è altro che quiete. Allora ripenso a noi. Le lacrime riaffiorano immediatamente per fermarsi, in bilico, sull’estremità delle palpebre. Ripenso al nostro incontro. Alla nostra prima conversazione. Al nostro primo messaggio. Alla nostra prima lettera. Alla nostra prima telefonata. Al nostro primo Noi. Era l’estate del 2020. Secoli fa.
Sono sconvolta. Sono atterrita. Una lacrima scende senza il mio permesso. Cerco un fazzoletto che non ho. Una smania improvvisa di qualcosa che, in sua assenza, si traduce nel battere freneticamente le dita sulla tastiera. Una scarica di adrenalina e pianto percorre un corpo attraversato da brividi. Cerco di comprendere la grandezza della rivoluzione avvenuta. Di apprenderne la rivelazione. La sua portata è tale da non riuscire a concepirla. È immensa. È magnifica. È irreversibile. È straordinaria. Sono ripetitiva – sì. Ma non ho mai assistito a un’epifania simile. È la limpida meraviglia di un delirante fermento. È oltre. Al di là di qualsiasi comprensione della mente umana. È una scelta.
La scelta.
Probabilmente continuerò a scriverne per decenni. La scrittura – del resto, si sa – è il farmaco della memoria. Ma è anche il farmaco della solitudine. Nessuno di noi, chi più chi meno, vuole restare solo. Tanto più quando tale condizione scaturisce dall’assenza inaspettata di qualcuno o qualcosa. Ma la presenza di qualcuno o qualcosa può anche essere ingombrante. È questo il caso del dubbio. Il dubbio è utile fintanto che si riesce ad analizzare razionalmente il contesto. Quando tutti gli elementi del contesto sono stati chiariti sufficientemente e risultano chiari, il dubbio diventa definitivamente inutile e inutilizzabile. Resta solo da compiere una scelta. E pur sapendo che il meccanismo agente è sempre lo stesso, sono molti quelli che si fanno tentare dal dubbio e indugiano – manichini subcoscienti sublimati in un tempo statico, vitreo, morto, che appartiene a loro soltanto. Il dubbio resiste e persiste. Siamo esseri intrinsecamente pensanti, dubitanti. E loro – i dubbi – ci conoscono. Sanno che continueremo ad abusarne. Sanno che ci sentiremo sempre divisi.
Nel mentre rientrano in casa. Parlano con un tono di voce alto. Avranno bevuto un po’. Una chiede consiglio all’altra su quale sia il filtro migliore per pubblicare la storia. L’altra risponde. Una l’ascolta. Poi mi vedono. Frettolosamente fanno capolino nella stanza farfugliando un “come va” per poi riuscire l’istante dopo e chiudersi in bagno. In sottofondo il “ti ha taggata!” rimbomba nel silenzio delle pareti. E in quel momento – in questo momento – realizzo profondamente di aver compiuto una scelta. La-scelta-di. La scelta di dissociarmi da ciò che fa tendenza oggi. La scelta di non usare i social in quanto dannosi per l’uso che ne potrei fare. La scelta di non bere, per avere sempre controllo e lucidità in qualsiasi situazione. La scelta di vivere e di far vivere l’amore che ho incontrato senza cercarlo. La scelta di studiare con costanza, perché ho visto quanto sia importante per avere buoni risultati. La scelta di difendere i miei interessi, dopo aver passato anni a lasciare che altri li decidessero per me. La scelta di scegliere, perché conosco il senso di soffocamento che può provocare il non farlo e perché ho provato il senso di liberazione scaturente dall’averlo fatto.
La scelta di.
Dunque, scelgo.
Anna Lanfranchi