Attraversare la nebbia

Una domenica di metà dicembre mi sono dovuta svegliare alle quattro e mezza del mattino. C’è qualcosa di alienante nel camminare per le strade vuote e fredde delle primissime ore del giorno, quando si ha solo silenzio e fiato che si condensa, così come c’è qualcosa di ancora più strano nell’affrontare in automobile la nebbia densa, che cancella ogni riferimento. Mi sono sentita scivolare in un universo distante, lontano da tutto ciò che conosco. Tuttavia, solo quando la macchina ha attraversato il casello autostradale, dove l’atmosfera era di un arancio sporco a causa dei fasci dei lampioni, ho all’improvviso capito dove pensavo di essere finita. La realtà descritta da Cormac McCarthy nel suo romanzo La strada aveva preso forma davanti ai miei occhi.

Sarà banale aver pensato a un racconto distopico? Forse, ma grazie a questo sono tornata a riflettere su un libro che per me è stato un giro di boa. Capita di trovare opere simili, lo avverti durante lo scorrere delle pagine che dopo l’ultima frase il tuo modo di vedere il mondo sarà cambiato, e alla fine rimane attaccata alla pelle una profonda sensazione di nostalgia – ma è il bello della lettura, no?

La cosa più sorprendente è che McCarthy racconta una storia molto semplice, che ruota attorno alla ricerca condotta da un padre e un figlio di un luogo sicuro, un piccolo nido dove ricostruire la propria vita in un mondo che è crollato e non ha più niente da dare. Sono come dei novelli Enea e Ascanio, in fondo. Solo che qui non si sa nulla della caduta di Troia, non è noto al lettore cosa è accaduto prima, se non frammenti di un avvenimento apocalittico che il padre non vuole ricordare e il bambino non può sapere – esplosioni, la terra che trema, prima sparisce la corrente, poi l’acqua, il figlio nasce e la madre fugge. Si avverte solo la confusione del disastro, che lascia addosso un’angoscia profonda riflessa nel paesaggio brullo, dove non si ha altro che lo srotolarsi di una lunga strada che porta all’oceano e, forse, alla salvezza.

L’uomo lo sa bene, ed è per questo che va avanti col bambino e un carrello contenente poche provviste. La strada è dura e spietata, ma loro portano il fuoco – fisico e metaforico – e come tali sembrano gli unici a possedere ancora un’anima, al contrario degli altri esseri che camminano sull’asfalto, guidati invece dalla bestialità e il desiderio di sopravvivere a qualunque costo – niente ha un prezzo troppo alto, neppure la propria umanità.

Il compito che si portano sulle spalle non è semplice, affatto. La possibilità di scivolare e perdere la via è molto alta, come mostra alla perfezione la figura del padre coi suoi tentennamenti e le domande su quale sia il limite a cui può spingersi pur di salvare il figlio. Tuttavia, il padre rimane umano proprio perché ha lui e lotta per lui, come ricorda più volte durante la narrazione.

Sapeva solo che il bambino era la sua garanzia. Disse: Se non è lui il verbo di Dio allora Dio non ha mai parlato.

Il figlio è diverso: lui è umano perché ha in sé l’innocenza che agli altri è stata strappata. Non conosce niente del prima, se non frammenti, ed è per questo che è ancora più importante del fuoco che portano con loro. Il bambino è speranza, e come tale va protetto.

L’ultimo esemplare di una data cosa porta con sé la categoria. Spegne la luce e scompare. Guardati intorno. Mai è un sacco di tempo. Ma il bambino la sapeva lunga.

Ciò che ne esce fuori è un racconto straziante. È una storia d’amore, in fin dei conti, e mostra quanto tale sentimento sia ancora una volta la spinta necessaria per vivere e non perdersi… anche in un mondo post-apocalittico come quello descritto da McCarthy, dove regnano la violenza e la solitudine. Non esiste un limite per entrambi i poli: la brutalità è cieca e animalesca, tanto che alcuni passaggi risultano difficili alla lettura, mentre l’amore è profondo e insondabile, come dimostrano padre e figlio nel loro cammino.

C’è un essere simile dentro di te? Di cui non sai nulla? Ci può essere? Tienilo stretto. Ecco, così. L’anima è un soffio. Abbraccialo. Bacialo. Svelto.

Oltre alla storia in sé, La strada è un romanzo interessante anche per il modo in cui è stato scritto, in grado di colpire i lettori più smaliziati. McCarthy fa un miracolo, e in un numero esiguo di pagine e di parole crea un’atmosfera claustrofobica e lontana dal tempo, dove la violenza spicca in modo grafico, secco e nudo. I dialoghi, poi, sono da maestro: punteggiatura ridotta al minimo, che li rende un lungo flusso scandito dall’andare a capo come cambio battuta e in cui è semplice perdersi. Diventano universali, parole condivise anche dal lettore. Quest’ultimo, infatti, mette piede sulla strada, cammina e soffre coi protagonisti e, anche quando arriverà l’inevitabile momento di riporre il romanzo, una parte di loro gli rimarrà dentro, pronta a emergere negli attimi più impensabili. Come una in una mattinata di nebbia.

Rebecca

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