In alto quatro nuvoli, de soto un fià de mar,
xe’l quadro più magnifico che mai se pol sognar!
(Canzone triestina)
È proprio con queste parole che si può descrivere, a un primo sguardo, Trieste. Città ponte, città di confine, città di poeti, città di artisti. La piccola Vienna sul mare – soprannome acquistato grazie al fascino architettonico, l’atmosfera elegante e le influenze asburgiche – è senz’altro tutto questo. Un’esplosione di paesaggi. Mare, colline e ambienti urbani condensati in una sola città – una città piena. Piena di storia, di poesia, di letteratura, di malinconia. In questi tempi di pandemia, purtroppo, Trieste è nota soprattutto per le manifestazioni no vax. Tuttavia quello che seguirà non sarà un’apologia né una critica di Trieste o dei triestini. Saranno soltanto parole da cui mi lascerò trasportare per evocare giorni di una vacanza serena, e per provare a raccontare immagini di una città di confine, di mare e di molto altro.
Giorno 1
La stazione di Trieste non è lontana dal resto della città. In poco tempo arriviamo a casa di Francesca, una mia amica che da un anno vive e studia a Trieste. Depositiamo le valigie e ci dirigiamo verso la nostra prima meta: il Castello di San Giusto. Una fortezza oggi adibita a museo, collocata sull’omonimo colle che domina la città, il suo golfo e il suo entroterra. La sua storia segue le perenni guerre tra Trieste, Venezia e l’Austria al tempo dell’Imperatore Federico III. Per raggiungerlo camminiamo in salita per una ventina di minuti, passando accanto a ragazzi che studiano, seduti sui gradini a terrazzamento che portano al castello. La vista dall’alto è molto bella e il sole è accecante. Visitiamo anche il museo interno e poi Francesca ci porta in un locale pieno di libri e del tutto peculiare. In prima pagina, ogni romanzo della libreria Libribelli reca la stessa scritta: “Questo libro non si compra e non si vende”. Prendiamo tre o quattro libri a testa (senza pagare, chiaramente) e Francesca ci racconta che non sanno più dove mettere i libri che i clienti gli regalano. Magari ci fossero più librerie così. Dopo una cena veloce, ci troviamo con degli amici di Francesca in un locale favoloso dove ci sono tutti i giochi da tavolo possibili e immaginabili. Rimuginando sul valore dei libri, chiudo gli occhi sognando lapislazzuli.
Giorno 2
Oggi mare! Una sveglia mattutina e una buona (e dispendiosa…) colazione in un bar con vista mare sono state le premesse per una camminata lungo la costa, che ci ha portati al Castello di Miramare. Prima, però, bisogna specificare come si vive il mare a Trieste. Sul lungomare non ci sono spiagge: c’è solo un marciapiede infinito, a tratti costeggiato dalla pineta, e, di tanto in tanto, si possono trovare i “topolini”, terrazzini pubblici affacciati sul mare dotati di bagni e docce. Tanto i “topolini” quanto il marciapiede sono invasi da persone che prendono il sole, spaparanzate sulle sdraio portate da casa o direttamente per terra. Ci capita spesso di passare accanto a borse e teli non sorvegliati, appartenenti a bagnanti intenti a godersi la frescura del mare. Non posso fare a meno di pensare che lasciare le proprie cose incustodite a Milano sarebbe semplicemente impossibile. Lì, invece, tutti sono tranquilli. Si respira un’atmosfera di distensione pacata. In poco più di un’ora arriviamo in vista dello splendido castello affacciato sul mare, costruito per l’arciduca Massimiliano d’Asburgo e cinto da un esteso e rigoglioso giardino. Gli interni sono sontuosi ed eleganti, tappezzati di rosso e con i simboli imperiali. Al ritorno ci fermiamo in una località chiamata Barcola per fare finalmente un bagno, sdraiandoci poi nella pineta circostante. Concludiamo la giornata con un buonissimo sushi e una passeggiata sul molo, ammirando una Piazza Unità illuminata da luci blu che richiamano i flutti del mare.
Giorno 3
Dopo una straordinaria e più che sostanziosa colazione (cappuccino al pistacchio e pancakes pistacchio e lampone), andiamo a visitare il Museo d’Arte Orientale, dove è conservata una delle varie copie de La grande onda di Hokusai. Oltre a sete, porcellane, ceramiche e stampe, il Museo ospita anche armi, strumenti musicali e maschere teatrali provenienti dalla Cina e dal Giappone. Cogliamo anche l’occasione per ammirare una splendida mostra fotografica di Alain Schroeder sulla Corea. La nostra seconda tappa è la Risiera di San Sabba. All’ingresso ci accoglie un corridoio lungo e stretto con alte pareti opprimenti. Visitiamo alcune sale. Le mura della cella della morte emanano gelo. Mi colpiscono molto le dimensioni minuscole delle celle (alte meno di tre metri e larghe meno di due) in cui venivano rinchiusi sei o sette prigionieri. Nel cortile resta l’impronta del forno crematorio. Finita la visita, ci dedichiamo ad attività più distensive e andiamo in una piccola spiaggia a Portovecchio. È quasi sera e le acque sono gelide, ma non voglio sprecare l’occasione per un ultimo bagno. Dopo cena, Francesca ci porta in mezzo alla movida triestina. Ci muoviamo tra fiumi di ragazzi che riempiono le strade e raggiungiamo il nostro bar. Sembra non esserci posto, ma dopo qualche minuto compare il barista con un tavolino improvvisato e qualche sgabello. La sera, prima di addormentarmi, penso alle ultime cose che ci aspettano domani – colazione al caffè degli Specchi e visita al Museo di Joyce e di Svevo – e mi chiedo come sarebbe vivere a Trieste.
Penso che dovremo sicuramente tornarci perché c’è ancora tanto da vedere. Penso che non abbiamo avuto l’occasione di provare sulla nostra pelle la Bora, quel vento fortissimo che fa sì che, con la pioggia, piova in orizzontale. Penso che se avessi studiato meglio storia alle superiori forse me la sarei goduta ancora di più. Penso al mare, alla città, alla storia, alla letteratura. E poi penso a quanti sono passati di qui e hanno dedicato dei versi a Trieste, città di confine, città dei venti.
“La mia anima è a Trieste”, ha scritto Joyce. Probabilmente continuerà a restarci. La sua, assieme a quella di tanti altri grandi, alcuni dei quali si possono ancora vedere – nelle vesti di statue – intenti a leggere, seduti su una panchina, o a fare due passi in riva al mare.
Anna Lanfranchi
Brava Anna!
Per un attimo ho avuto la sensazione di essere a Trieste con te! Grazie
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