I lettori di Bottega hanno letto giusto ieri la tua biografia, ma in realtà ti conoscono e ti leggono già da un po’. Perché non ci racconti com’è iniziata la tua collaborazione col blog?
La mia collaborazione inizia nel 2020 – quando Bottega di idee per me era ancora una realtà misteriosa e poco conosciuta – con una lettera alla scrittura realizzata in occasione del mese giornalistico (gennaio). A maggio ho avuto la soddisfazione di vedere pubblicate tre mie poesie scelte per il Concorso Poetico. Dalle poesie sono poi passata alle rubriche. La prima che ho tenuto aveva come tema l’alcolismo, un argomento complesso che mi ha stimolato molto, tanto da provare a vestire i panni di qualcun altro per cercare di comprendere meglio una condizione oggi non così rara. Da lì ha preso il via una serie di collaborazioni costanti che mi hanno portato oggi a essere qui a raccontare di me.
Nella tua biografia, hai detto di aver trovato nel fantasy un rifugio dai problemi della quotidianità. Quali sono i libri in cui con più piacere ti rifugiavi?
Purtroppo (o per fortuna) sono cresciuta a pane e Harry Potter – passione ereditata dai genitori e ancora oggi sussistente (anche se in maniera molto ridimensionata). Da bambina sono stata una lettrice accanita di Geronimo Stilton, mentre in età adolescenziale la saga con cui ero fissata era La ragazza drago di Licia Troisi. Devo però citare anche due romanzi che ho letto e riletto, apprezzandoli ogni volta di più: Tobia e Vango, entrambe di Timothée de Fombelle. Ricordo che alle medie la prof mi aveva scoperta a leggere – da vera trasgressiva! – uno di questi libri durante la sua lezione.
Hai parlato a più riprese di emancipazione ed evasione. Come è cambiato il tuo approccio a questi due concetti negli anni?
Domanda interessante. È cambiato e, per fortuna, in positivo. Per quanto riguarda l’evasione, posso dire di essere finalmente riuscita a trovare il giusto equilibrio con me stessa e la realtà – equilibrio che si declina in una costante serenità che oggi pervade la mia quotidianità – che mi permette di vivere i momenti di “evasione” come tali, e non più (come ho fatto per diversi anni) come un sollievo apparente, momentaneo e quasi morboso dalle sofferenze. Sull’emancipazione, invece, sto continuando a lavorare. Un traguardo importante è stato sicuramente andare a vivere in una città diversa da quella dei propri parenti, anche se nelle condizioni di studente non ancora autonomo. All’emancipazione più prettamente fisica si accompagna un’emancipazione mentale, ed è soprattutto questa che mi preme perseguire. Da quando ho capito che il mio non è che un punto di vista, inserito in una visione locale tradizionalista, basata su un pensiero culturalmente situato, ho avvertito l’urgenza di uscire da questi paradigmi per provare ad allargare lo sguardo, andando oltre i confini che il nostro contesto culturale prova a tracciare e (spesso) a imporci inconsapevolmente.
Se ci dovessi indicare tre stimoli e occasioni di crescita che in questi ultimi anni hanno segnato la tua vita, quali sarebbero?
Parto dall’occasione che mi ha permesso di riprendere in mano i libri con entusiasmo: la lettura di 1984. Dopo diversi anni di digiuno da qualsiasi forma letteraria, l’incontro con Orwell è stato come un colpo di fulmine. Le sue idee più o meno profetiche e il suo stile lucido e preciso hanno destato in me la voglia di approfondire ed esplorare – attraverso i libri e le esperienze di vita – nuove dimensioni di me. A questo proposito, dopo due anni di università frequentata a distanza, ho avuto finalmente la possibilità di sperimentare una vita lontano dalla famiglia, e questo è stato (ed è costantemente) un’importante occasione di crescita personale. Per fare questo credo sia necessario uscire dalla propria comfort zone e confrontarsi con sé stessi all’interno di un ambiente tutt’altro che familiare. Un’altra esperienza che mi ha segnato indelebilmente in questo senso è stato l’incontro con una persona fondamentale e tuttora presente nella mia vita, che mi ha mostrato come fosse possibile tutto quello che fino ad allora non solo non credevo tale, ma che non pensavo nemmeno di volere. Una rivoluzione totale che mi ha permesso di avvicinarmi a una serenità oggi difficilmente perseguibile.
E infine, una domanda che è forse un po’ obbligata. Hai già collaborato con Bottega, è vero, ma ora entri ufficialmente nella redazione: cosa pensi cambierà per te? E cosa speri di ricavare da questa (non così) nuova esperienza?
In generale sono sicura che sarà un’attività stimolante e che mi permetterà di imparare molto – come del resto è già accaduto. Cambierà sicuramente la frequenza con cui ero abituata a scrivere articoli, e vista la mia lentezza esasperante nel produrre uno scritto che mi soddisfi appieno, velocizzare questo processo sarà una bella sfida. Così come lo sarà prendere decisioni con prontezza e convinzione in merito a scelte inerenti alle rubriche (e qui il riferimento è alla mia perenne indecisione, come si evince facilmente dai miei ultimi articoli). Infine, spero di continuare ad avere occasioni per riflettere, imparare e mettere in discussione il mio punto di vista, nella consapevolezza che siamo tutti influenzati dal contesto culturale in cui siamo inseriti, e che solo concependolo come un panorama di flussi interconnessi (e non come un contenitore chiuso) è possibile provare a comprendere noi stessi e la realtà che ci circonda.
Benedetta