Sezione A – in fuga
Devo fare veloce. Fruire del servizio e andarmene. Prendere, usare, lasciare il campo. Poi tornare alla solita vita. Il solito peso. Via da questo dolore. Da questo sfruttamento. Da questo tutto che mi opprime e schiaccia. Runaway di Aurora esplode in sottofondo. Un gemito, piano, lontano. Da fuori. And I kept runnin’ | For a soft place to fall | And I kept runnin’ | For a soft place to fall…
Sezione B – il ritorno
Mi tocco, piano, sulla coscia. Scorro, lentamente, un po’ più su. Mi fermo. Alzo gli occhi – uno specchio. Mi guardo. Orribile. Abbasso gli occhi – il sollievo. Continuo a toccarmi, ma stavolta scendo. Le ginocchia. I polpacci. Le caviglie. Cerco un contatto con me stessa. My heart still beats and my skin still feels | My lungs still breathe, my mind still fears…
Sezione C – un sogno
Quando sono in piedi, e respiro, mi rendo conto della mia pochezza. Allo specchio, quasi incredula, mi studio. Cerco un senso che non trovo. Poi, di colpo, vedo qualcosa nel vetro. Una sorta di neon blu. Una luce, come quella delle torce in montagna. La seguo. Il vetro si rompe. C’è Aurora che canta. E io sorrido. I meet the eyes | I recognise how they have changed with time | I find myself surrounded by a coffin in the night…
Sezione D – la realtà.
Sono davvero spaventato, quando ci penso. Passo una significativa parte delle mie giornate su Telegram e Twitch. E, per quanto ciò mi tormenti, debbo riconoscere che i gruppi più frequentati del social di Durov sono gruppi di porno, al cui centro ci sono scambi di foto di ex e cose del genere; per quanto riguarda Twitch, la dominatrice ha un nome e un corpo ben noti: Amouranth. Sostanzialmente, questa suadente – perlomeno secondo il canone – ragazza, oltre ad avere l’account Onlyfans più seguito al mondo, trascorre le sue giornate in live, e semplicemente stando a casa a giocare a GTA in bikini, escludendo dal conteggio sia quanto ottiene dai video pornografici sia quanto guadagna grazie a collaborazioni e pubblicità, si stima guadagni fra i 35 e i 40 mila dollari al mese. Lei, e dietro di lei una quantità industriale (il termine non è casuale) di ragazze più o meno giovani, guadagna cifre astronomiche ponendo alla propria base quello stigma per la cui abolizione molte femministe tuttora si spendono: quello della mercificazione, della sessualizzazione, del corpo. Sono davvero spaventato, quando ci penso. Così come lo sono quando penso alla questione dei pronomi – questione di cui, è bene dirlo, molti adulti nemmeno conoscono l’esistenza. Mi terrorizza, ancora, l’idea che ci siano stigmi così forti e così stringenti da definire univocamente cosa sia “maschio” e “femmina”. E non solo mi terrorizza, ma mi fa schifo che ancor oggi, in questo mondo così vario e plurale, dei genitori possano non accettare l’orientamento sessuale del figlio – o, ancor peggio, provare a condizionarlo. Sono sinceramente spaventato dalla superficialità che ci circonda, che ci attanaglia e strazia. Che equipara la donna a una cosa. Che la rende oggetto. Che giustifica, più o meno implicitamente, la violenza che le viene rivolta. Che fa chiedere – altra cosa che non solo mi terrorizza, ma mi ributta – come fosse vestita una vittima di violenza sessuale, suggerendo neanche troppo velatamente che, insomma, se ti metti in camicetta e minigonna un po’ te le sai cercata.
Del resto, è la tipica logica del porno.
La donna-oggetto, una volta sessualizzato il proprio corpo in direzione del canone e della richiesta maschile, appartiene a colui a cui si dona. Esibendo il corpo-cosa lo cede al fruitore, il quale ne profitta e, a latere dal rapporto, ricompensa la donna, sancendo così in maniera definitiva la sua superiorità: egli dispone, ella acconsente. Non c’è campo di possibilità diverso da quello maschile e maschilizzante, da nessuna parte. Ciò comporta in primo luogo che le donne non si riflettano in questo sistema di “valori”, e qualora volessero cercare aiuto per ribellarcisi, non troverebbero rappresentanza; in seconda istanza si nota che le altre, quelle che si arrogano il compito di rappresentare le prime, sovente si perdono in sciocchi dibattiti di forma, perdendo la sostanza. Si esulta, per esempio, perché grazie alle quote rosa più donne lavorano e non si coglie quale ne sia l’idea di fondo: che ci siano dei lavoratori bravi, selezionati sul merito, uomini, e lavoratrici donne, scelte perché donne grazie alle quote rosa, cioè messe lì da uomini per fare numero. Quindi, schematicamente – e a ritroso rispetto al percorso compiuto fin qui – diremmo che: la mentalità maschilizzante dominante per un verso schiaccia le donne e per un altro, morboso, verso le esalta (in quanto corpo, in quanto cosa, in quanto carne). Ciò fa sì che il mittente sia uno – l’uomo – e i destinatari molteplici, ma eguali al primo: gli uomini, appunto. Dall’uomo agli uomini, in un circolo chiuso dove non c’è spazio per infiltrazioni neppur fuggevoli, si inserisce una logica che sancisce cos’è bello (per esempio: una donna bianca e magra, ben vestita e curata) e cosa brutto, cos’è giusto e cosa sbagliato. In questa logica macabra e disgustosa, la violenza non solo è sdoganata, ma anche incoraggiata e giustificata. Ciò fa sì che, e qui si chiude il cerchio, per controllare al meglio le proprie esistenze, avere una notevole indipendenza economica, e per riuscire a controllare gli uomini (e non farsi controllare da questi), moltissime donne reputino più conveniente anticipare la domanda, preconizzare un desiderio di massa, esibire il corpo prima che altri se lo prendano, o vogliano prenderselo: ed è così nascono le Amouranth della situazione. Ecco dunque che, in questo sistema così inquietamente ben oliato, si innesta perfettamente lo scambiarsi fotografie (definite “hot” non per niente) delle proprie ex ragazze – laddove il corpo è una cosa e il consenso femminile prima del rapporto un inutile formalismo, è purtroppo logico che ci si scambi, con una logica da vero e proprio baratto, fotografie: come da bambino potevo intavolare uno scambio fra un pacchetto di patatine e due macchinine, da grande potrò cedere due foto della mia ragazza nuda per averne altrettante della tua ex svestita.
Questo, purtroppo, l’inquietante scenario.
E – universi paralleli.
Ho appena aperto gli occhi. Qualche piccola lacrima mi riga il volto. Il cuore rimbomba, travolgente. La mia mente, ferita, ha ancora paura. Mi alzo. Mi sgranchisco un po’. Mi sciacquo, mi cambio, non mangio. Esco. Piove – niente ombrello. Mi guardo un po’ attorno. Una mia amica non binary cammina, mano nella mano, con un ragazzo dimesso. Mi rivolgo a lei declinando il verbo al maschile. Sorride, apprezzando lo sforzo, e risponde. Anche lui apprezza, si vede. Li saluto, e proseguo. Alzo gli occhi – un arcobaleno. Li abbasso: uno stand di Fratelli d’Italia. Sgrano gli occhi. Li riapro. Mi sono appena svegliato. Mi alzo. Mi sgranchisco un po’. Mi sciacquo, mi cambio, non mangio. Esco. Nevica – niente ombrello. Affondo il piede nella neve, ma la vedo colorarsi di lilla. Sgrano gli occhi. Li riapro. Mi sono appena svegliato. Mi alzo. Provo a sgranchirmi. Cerco le forze per sciacquarmi. Non mangio. Esco, dopo essermi cambiato. Fuori c’è il sole – niente ombrello. Cammino dritto innanzi a me, ma non vedo la mia ombra. Sgrano gli occhi. Li riapro. È il quarto dei miei incubi.
Mi chiedo cosa rimanga. Che esito consegni, un’analisi siffatta. Disperazione, tanta. Rabbia, tantissima. Senso di ingiustizia, rivalsa, desiderio di cambiare le cose – un’enormità. Ma non è questo il punto. Non è con i fatti che si fa la storia, ma con le intenzioni. E l’intenzione, qui, credo sia chiara. Mostrare la forma mentis di questa società malata, evidenziandone il senso maniacale pur senza scrivere un testo sensazionalistico – cercando cioè di fornire un’analisi tranquilla, chiara, limpida, intervallata invece con dei brevi accenni a una vicenda che è metaforizzazione di quei meccanismi che vado denunciando.
Il tutto mirando a una consapevolezza che tutto questo discorso assomma, e che però anche oltrepassa: quella consapevolezza per cui, come diceva Simone de Beauvoir,
“Non si nasce donne: si diventa.”
Federico
Il tema che affronti è delicatissimo.
Vorrei però svolgere qualche povera considerazione che fa da sfondo a maschile vs femminile, tenedo per assodato che ogni violenza non è giustificabile.
Sul punto ho riflettuto spesso anche alla luce delle osservazioni monodirezionali veicolate dai social media.
Finisco sempre con l’arrivare al punto spigoloso del razzismo tradotto in termini di genere,
Levi Strauss sostenne, fino alla morte, che la libertà razziale e quindi nel costro caso, per estensione, la coesistenza di idee diverse sui generi, si ha solo all’interno di piccoli gruppi sociali.
La tribù, in cui prevale il giudizio pro maschio, è diversa e distinta da quella in cui prevale il giudizio pro femmina o pro fluidità di genere.
Le tribù vivono isolate convinte delle loro verità. E’ la tesi etnocentrica: non c’è chi ha ragione nè chi ha torto. Non c’è la verità. Ci sono punti di vista che coesistono.
Continua Levi Strauss. Immaginiamo che ad un certo punto prevalga un punto di vista da applicarsi a tutti e dovunque. Immaginiamo che questo orientamento sia basato (tra l’altro, per semplificare) sulla accettazione del matrimonio combinato o dell’infibulaziuone o dela sacrificio rituale delle vedove indiane, Cancellare le trubù vorrebbe dire far prevalere il pensiero unico!
Chi vorrebbe che le proprie figlie venissero infibulate? Quale vedova si getterebbe tra le fiamme in nome di un precetto mondiale?
Alla fine il problema di ideologie che si scontrano ha a che fare con le libertà individuali
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