All’Università Statale di Milano c’è una facoltà che da anni raccoglie numeri impressionanti in quanto a iscrizioni, l’unica Università pubblica di Mediazione in tutta Milano: eppure l’Ateneo, al posto che puntarci, ampliare lo spazio, assumere professori a contratto, e intraprendere politiche per una migliore gestione, ha di recente preso una decisione scioccante: chiudere la facoltà. Ne parliamo oggi con Parinka Silva, rappresentante di Studenti Indipendenti presso la facoltà di Mediazione Linguistica. Iniziamo con le presentazioni: come sei diventato rappresentante? E perché Studenti Indipendenti?
Io mi chiamo Parinka Silva, sono al secondo anno di Mediazione Linguistica, sto studiando cinese e tedesco, ho fatto il tecnico turistico, e dal quinto anno di superiori ho capito di essere molto interessata al discorso politico in generale e alla rappresentanza in particolare. Nel 2020 mi sono candidato e da settembre ho sostituito la rappresentante della mia lista. Perché Studenti Indipendenti? Perché siamo indipendenti! No, a parte gli scherzi: non dipendiamo da nessuno, siamo autofinanziati, e abbiamo a cuore molte battaglie che per me sono molto importanti. Ci capita spesso di essere da soli, nelle nostre proteste: io da subito sono stata l’unica a oppormi su questa battaglia, per esempio, e anche per questo non è stato facile.
Parliamone meglio, allora, di questa battaglia. Daresti una panoramica di quanto è successo ai nostri lettori? Anche perché è fondamentalmente il motivo per cui siamo qui.
Il corso non poteva gestire il grande numero di studenti, e quindi già a fine luglio c’è stata una lettera presentata al Rettore, nella quale c’erano due opzioni: il numero programmato con test d’ingresso o la chiusura. A gennaio c’è stata la delibera della sospensione del corso, che ha giustamente generato molta rabbia negli studenti; dopo tutto un travaglio burocratico la decisione è arrivata in Consiglio d’Amministrazione dove è stata resa definitiva. Il corso, dal 2019, è ad accesso libero a causa di un ricorso presentato da un’altra lista, UDU, che ha fatto sì che la disposizione precedente – la presenza del numero programmato che limitava l’accesso – venisse annullata. Il punto è che c’era una tendenza, dei numeri, che certificavano, da tempi non sospetti, la necessità di fare qualcosa per garantire la prosecuzione del corso di laurea. Non solo: siamo arrivati a parlare con un consigliere regionale che si è offerto di fare da mediatore fra l’Università e la Regione. Per giunta a Milano siamo l’unica facoltà pubblica di Mediazione – ci sono anche quelle della Cattolica e della IULM, ma sono private – e se vuoi fare lingue orientali puoi provare a fare Comunicazione Interculturale in Bicocca, ma non è proprio la stessa cosa; inoltre è prevedibile che questa decisione farà notevolmente lievitare il numero di iscritti di Lingue e Letterature Straniere, che a sua volta non è una facoltà attrezzata per grandi numeri.
Anche il discorso economico secondo me è da toccare. Se Mediazione fosse stata aperta, l’Università avrebbe ricevuto tasse da migliaia di studenti. Dunque questa sembra una scelta di comodo (occultare il problema invece che provare a risolverlo) che però ha anche una forte controindicazione materiale. Tu cosa pensi di questo?
Che hai perfettamente ragione. Ti mostro una tabella con tutti gli iscritti dal 2008 all’anno della sentenza di cui ti dicevo, nella quale si certifica nitidamente come vi fosse una tendenza netta, che però è rimasta inascoltata e che ha portato a questa tragica decisione.

E se questi ti sembrano numeri importanti, aspetta di sentire gli ultimi: nell’annata 2019-20, cioè da quando il numero programmato è stato tolto, le iscrizioni sono state 3650; in quella successiva sono state 4384 e nell’ultima 4730. Insomma: sono numeri che, da soli, significano tantissimo. Da quando c’è stata la pandemia, l’Ateneo si è dimenticato di Mediazione, fino a questa decisione davvero fuori luogo. Anche il clima che si è generato attorno a questa cosa è stato davvero fuorviante: ti basti pensare che quando abbiamo ci siamo trovati con la lista per provare a parlare con il Rettore prima del CdA, il giorno in cui c’è stata la decisione in consiglio, c’erano più poliziotti della Digos a controllarci che ragazzi a protestare!
Tutto molto chiaro direi. Senti, concentriamoci anche sulla politica universitaria in particolare. Perché, al di là delle liste che poi si scelgono, credi sia importante fare rappresentanza universitaria?
Dirò anzitutto questo: noi non ce ne rendiamo conto abbastanza, ma abbiamo un potere enorme – pensa a tutta l’attenzione al tema climatico generato da Greta Thunberg e dai climate change. E poi è davvero un modo per rendere servizio all’Università con cose sia di tipo pratico – penso alla recente introduzione dei tampon box nei bagni per le studentesse che ne avessero bisogno – che più “teorico”: provare a migliorare il futuro che ci aspetta ogni giorno, andando incontro ai bisogni e alle necessità dei ragazzi universitari. E poi ci tengo a dire anche fare politica universitaria è un privilegio, perché non tutti hanno gli strumenti e le possibilità per farlo. Poi ognuno di noi in quanto singolo ha le proprie battaglie (per me per esempio c’è la questione del rappresentare gli italiani di seconda generazione: pur essendo italiana – di seconda generazione, ma a tutti gli effetti italiana – ho ricevuto la cittadinanza a 18 anni, sebbene non fossi mai stata nel mio Paese d’origine), ma quel che conta è che, ognuno con le proprie caratteristiche, i propri ideali e le proprie priorità cerchi a tutti gli effetti di rendere l’Università – che poi è il luogo in cui diamo forma al nostro futuro – un posto sempre migliore, sempre più accogliente, sempre più sicuro e sempre più stimolante.
Chiuderei chiedendoti questo: come giudichi la gestione della pandemia da parte dell’Ateneo? Ti sei sentito in linea con le decisioni che l’Università ha preso oppure no? E per il futuro, come spereresti che l’Università possa diventare?
Io non ho vissuto per niente l’Università in presenza: il mio primo anno è stato quello della pandemia. Ho fatto qualche lezione in presenza e poi c’è stato il secondo lockdown. È stato davvero molto difficile, anche se io sono stata in certo modo fortunata: ho fatto domanda (come tanti altri studenti) per un bando per pc portatili mentre alcuni purtroppo non sono riusciti perché c’è stata una sola data di distribuzione dei pc, per giunta in pieno lockdown. E poi non è stata una passeggiata lo stare molte ore al giorno davanti ai computer. Io insomma, singolarmente, sono riuscita a cavarmela grazie all’aiuto che l’Università ha fornito, ma trovo comunque che sia stato un aiuto abbastanza parziale, riservato a una fetta abbastanza ristretta di studenti. Per quanto concerne il futuro, senz’altro l’opportunità di fare le lezioni online è un privilegio per chi lavora o vive lontano da qui, però allo stesso tempo non dobbiamo dimenticare che l’Università è un luogo dove si va e non una nuvola nel web – quindi mi auguro ci sia una soluzione equilibrata che tenga conto di questo. Più genericamente, per le future generazioni, spererei davvero che l’Università diventasse più aperta, libera, e inclusiva – dal punto di vista sia etnico che dell’orientamento sessuale.
Federico