La mente che cancella

Sai dire addio ai giorni felici? Ai giorni in cui non dovevi pensare a cercare lavoro ma solamente a seguire la routine che ci eravamo costruiti? Ai giorni in cui non dovevi far altro che ripetere le stesse, semplici, azioni – lezioni, studio, riposo? E poi di nuovo, da capo, il giorno dopo. Era confortante. Sapere cosa dover fare e come poterlo fare. Sapere di farlo bene e di ottenere buoni risultati. Avere dei riconoscimenti. Ti faceva sentire protetto, realizzato. Al riparo dall’eterno flusso a cui il mondo è sottoposto. E proprio per questo continuo fluire non era possibile restare per sempre nella quotidianità che mi ero costruita. Oggi mi guardo indietro e mi stupisco. Vorrei arrabbiarmi ma ero troppo diversa. Troppo inconsapevole. Troppo ansiosa di trovare quella che doveva essere la mia passione. Quello che avrei voluto fare nella vita. A 23 anni avrei voluto continuare a fare l’università per tutta la vita. Corsi programmati (o, in minima parte, a scelta), studio, corrispettivi esami, meritato riposo. All’infinito. Senza nessun problema, nessuna precarietà, nessun disturbo di pensare al lavoro. Lo step successivo che suscitava solo angoscia e pesantezza. A 9 anni la stessa persona non voleva crescere e diventare grande. La realtà, quel mondo così duro e vero, faceva paura. Anzi, non la voleva vivere. Perché non poter restare dentro uno dei tanti libri, lasciando la mente libera di vagare tra viaggi nel tempo e scuole di magia? Il cambiamento è intrinseco, avevo scritto. Mi ero chiesta se fosse possibile uscire dal mio stesso sistema. Se si potesse cambiare il meccanismo della scelta. Se, vestendo panni diversi, potessi imparare ad accettare quel continuo fluire fuori e dentro di noi. A convivere con la mutevolezza del tempo e lo scorrere dei pensieri. A guardare con occhi altrui l’ambiente in cui vivo. E la risposta è stata che ci ho provato. Ci sto provando. Ma tutto fa ancora molta paura. Tutto alla fine ritorna sempre lì, a quei miliardi di neuroni dentro le nostre teste. La mente. La mia mente. La mia mente mentre scrive. La mia mente mentre scrive un articolo. Ora ha capito perché dovevo scrivere questi tre articoli decostruendo pezzo per pezzo quello che provavo? 

Vede, secondo me il cervello di un uomo, in origine, è come una soffitta vuota: la si deve riempire con un mobilio di nostra scelta. L’incauto v’immagazzina tutte le mercanzie che si trova tra i piedi: le nozioni che potrebbero essergli utili finiscono per non trovare più spazio o, nella migliore delle ipotesi, si mescolano e si confondono con una quantità di altre cose, cosicché diviene assai difficile reperirle. Viceversa lo studioso accorto seleziona accuratamente ciò che immagazzina nella soffitta del suo cervello. Ci mette soltanto gli strumenti che possono aiutarlo nel lavoro, ma di quelli tiene un vasto assortimento, e si sforza di sistemarli nell’ordine più perfetto. È un errore illudersi che quella stanzetta abbia le pareti elastiche e possa ampliarsi a dismisura. Creda a me, viene sempre il momento in cui, per ogni nuova cognizione, se ne dimentica qualcuna acquisita in passato. Di conseguenza è importantissimo evitare che un assortimento di fatti inutili possa spodestare quelli utili.

Capisco. Si tratta di decidere, mentre siamo esposti a stimoli diversi, cosa immagazzinare e cosa no. Ancora una volta, insomma, si tratta di scegliere. Eppure… Scrivere, scegliere, rimuginare, premeditare, agire, pensare. Siamo mai del tutto liberi di scegliere? In che misura siamo artefici delle nostre scelte? Quanto la nostra cultura e il nostro ambiente ci condizionano? Domande. Dubbi. Scelte. Costruirsi. Decostruirsi. Accettarsi. Prendersi cura delle proprie paure. Rivolgersi al passato con sguardo lucido. Guardare con consapevolezza al futuro. Abbracciare il cambiamento e imparare a conviverci serenamente. Mi sembra strano che alla fine della rubrica (mi) resti soltanto questo. Cosa è cambiato effettivamente? Ero diversa quando ho iniziato? Dove mi ha portato questo viaggio? Forse non c’è un significato univoco. Forse ci sono infinite possibilità di senso. Forse non è nemmeno questione di senso. 

Il fatto è che lei vede ma non osserva. Deve sapere che non c’è nulla che chiarisca le idee quanto l’esporle a un’altra persona. E lei ha scelto di farlo. 

L’ho scelto. Ma non è stato sufficiente.

La sottovalutazione di se stessi costituisce una deviazione dalla verità quanto l’esagerazione delle proprie capacità. Senza una precisa volontà, si cominciano ad alterare i fatti per adeguarli alle teorie piuttosto che il contrario. Vuole sapere a che serve il circolo vizioso di dolore, violenza e paura a cui tutti siamo sottoposti? Deve avere uno scopo, altrimenti il nostro universo sarebbe governato dal caso, il che è impensabile. Ma quale scopo? Questo è l’immenso, perpetuo interrogativo al quale la mente umana è ancora ben lungi dal trovare risposta. Lei ha parlato di cambiamenti, scelte, mente. Non c’è una soluzione universale. Personalmente trascorro tutta la mia vita nel continuo sforzo di sfuggire alla banalità dell’esistenza. Ma il suo caso è molto meno complesso di così. Dico sempre che non c’è nulla di così ingannevole come un fatto ovvio, dunque provo a dirglielo con parole diverse: “Il cambiamento non è mai doloroso, solo la resistenza al cambiamento lo è”.

La. 

     Resistenza. 

                    Al. 

                        Cambiamento. 

Anna

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