Caro Daniele,
Sono Carla Marzo. So che già Federico (che ci legge in copia) le ha scritto a proposito del nostro dialogo che sarà pubblicato il 7 giugno sul blog, e so anche che lei preferisce svolgere il tutto via mail.
Io vorrei evitare di fare una lista delle domande così, a priori – sembrano un po’ delle liste della spesa, no? – e quindi le voglio proporre un’altra modalità: gestire questo dialogo via mail come un vero e proprio dialogo, e quindi fare un botta e risposta. Che ne dice?
Se questa modalità le va bene, le propongo già un inizio di dialogo. (Poi se preferisse posso sempre mandarle delle domande preconfezionate non appena mi risponde a questa mail, già qualche idea di cosa vorrei chiederle ce l’ho in mente).
Inizio col dire che mi fa un po’ strano essere qui, a fare un dialogo sulla poesia con il vincitore over26 del Concorso Poetico (a proposito, i miei più sinceri complimenti!). Dico che mi fa strano perché io ancora stento a credere di essere la vincitrice under26. E non lo dico per ricevere complimenti o altro, ma perché semplicemente mi reputo più una lettrice di poesie che non un poeta. Nei miei ventidue anni, infatti, ho letto poesie sia per dovere che per piacere, le ho analizzate, scomposte, sviscerate, ma poche volte ho poi effettivamente trovato il coraggio di appoggiare la penna sul foglio e scrivere. Forse perché credo che ci sia qualcosa di sacro, qualcosa di intoccabile nella poesia, e dubito fortemente di avere in me quello che occorre per fare mia quest’arte. Ma tutto questo sproloquio non serve ad altro che a chiederle: come e quando si è avvicinato alla poesia? E cosa significa per lei scrivere poesia?
Spero davvero di leggere presto la sua risposta e di poter continuare questo dialogo!
Un abbraccio,
Carla
Buona sera Carla,
ti chiedo se puoi, è pur vero che potrei essere tuo padre, di darmi del tu, questo per rendere meno formale e più libero il discorso, tanto più che la storia della letteratura è piena di poeti che hanno composto capolavori in giovane età.
Carla, ti faccio i complimenti per la tua affermazione sperando che sia un viatico per continuare, per coltivare il tuo talento e trovare la tua voce, che già si scorge nei tuoi versi, per consolidarla, renderla più sicura. Mi piace il tuo approccio quando dici che ti reputi più una lettrice di poesia che un poeta. Mi piace per diversi motivi: il primo è che ho sempre pensato che per leggere poesia occorra essere un po’ poeti, per lasciarsi trasportare dai versi e appropriarsene, farli diventare propri, intravedere cose che il poeta non aveva neppure pensato al momento della composizione, il secondo è che la lettura è l’unico strumento che abbiamo per formarci alla poesia, solo leggendo i migliori, interiorizzandoli si trova il proprio timbro. Per ultimo è buona cosa che siano altri a definirci poeta.
Detto questo provo a rispondere alla tua domanda. Per me scrivere è un lusso. Cerco di spiegarmi. Inizio col dire che ho cominciato a leggere poesia fin da ragazzo, parlo di leggere per piacere, perché quello che leggevo a scuola sembrava non piacermi, per il solo motivo che era una imposizione (solo col tempo ho capito il valore di quegli autori), ma ho cominciato a scrivere versi solo nel 2007, all’età di 44 anni, e a farli leggere a qualcuno solo nel 2012. Questo perché sono cresciuto in un ambiente in cui la poesia non era prevista, ai tempi della scelta dell’Università non mi è mai passato per la testa di scegliere una facoltà umanistica. Anche ora per me mettermi davanti a un foglio è un’oasi di pace fra le corse della vita quotidiana, è un momento per allontanare, almeno per un po’, gli affanni e le incombenze feriali. Per me scrivere versi significa osservare quello che mi sta attorno, che conosco, descriverlo e tirar fuori dal minuto gli aspetti che hanno un valore universale (senza avere la presunzione di riuscirci). Nel gesto dello scrivere quello che mi piace di più, che mi diverte di più (dico mi diverte, perché se non mi divertisse non scriverei, non condivido l’idea del poeta che soffre) è il lavoro di lima, il trovare la parola giusta, proprio quella giusta, non un’altra.
Spero, Carla di avere risposto alla tua domanda e ricambio con altre due. Prima di tutto mi piacerebbe sapere quale idea ti sei fatta di un poeta, chi è per te un poeta, cosa lo rende diverso, se c’è qualcosa che lo rende diverso, da chi non scrive versi. In secondo luogo mi piacerebbe sapere cosa leggi, non solo di poesia, ma di narrativa, di saggistica, che musica ascolti, se ti piace il cinema, quali forme d’arte ti interessano.
Ciao,
Daniele
Caro Daniele,
Davvero grazie per la tua mail. Assolutamente, preferisco dare del tu (ma mi blocco sempre nel timore di risultare inopportuna).
Devo dire che la mia idea di poeta è cambiata molto nel corso degli anni. Da piccola, credevo che i poeti fossero creature strane, solitarie, che scrivevano ispirati da chissà quale entità superiore. Poi la mia visione, di questa e di tante altre faccende, è maturata, ed è andata allineandosi con la definizione che tu stesso hai scritto nella tua mail. Sembrerà quasi sciocco da dire, ma ora so che i poeti sono esseri umani: in quanto esseri umani, essi sono degli iceberg di cui si vede solo la punta; in quanto poeti, hanno la capacità di svelare ciò che l’acqua sommerge, di farcelo toccare con mano. Insomma, il poeta è un sensibile, un riflessivo e a seconda della sua personalità, delle sue convinzioni, del suo carattere, i suoi versi possono far commuovere, indignare, ridere… ed è un attento, uno che pesa e soppesa le parole, le lima, le rifinisce, perché sa che poche sillabe hanno un grandissimo potere generativo ma anche distruttivo.
Per quanto riguarda le altre forme d’arte, mi interesso a molte, ma sempre in primo luogo come spettatrice/lettrice. Leggo pagine e pagine di narrativa, tra Pirandello, Federigo Tozzi, Cesare Pavese, e poi Sally Rooney, Kent Haruf, Kalman Stefansson… Poca saggistica, ma più per mancanza di tempo da dedicare a letture così impegnate che per mancanza di interesse. Un po’ più di cinema, di cui venero gli autori della Nouvelle Vague. Di pittura e scultura molto poco, non avendo davvero i mezzi per comprenderle fino in fondo; ma chissà, forse un giorno scoprirò anche questa passione.
Ora sarei molto curiosa di sapere quali altre forme d’arte trovi a te vicine, ma soprattutto vorrei chiederti: quali sono i poeti che hanno influenzato la tua scrittura? E soprattutto, quali sono i poeti che ti hanno stravolto la vita?
Un abbraccio,
Carla
Allora cara Carla, prima di rispondere alle tue domande devo dirti che la tua poesia mi è piaciuta moltissimo, come dicevo genericamente l’altra volta, credo che tu abbia talento. Mi piace molto la vitalità della tua poesia, la sfrontatezza, l’assoluta mancanza, pur nel versicolo tipico del Novecento, di ogni forma di simbolismo o di ricercata oscurità. Mi piace la chiarezza e l’onestà del dettato, in questo mi sento molto vicino, in quanto ritengo la leggibilità una forma di rispetto per il lettore. La ricerca poetica la trovo nelle soluzioni che hai adottato. Veramente brava.
Detto questo ti rispondo: la forma d’arte che mi interessa di più è la fotografia (per me un’arte vera e propria). Personalmente sono molto radicato nel territorio emiliano e mi piacciono molto fotografi come Stanislao Farri e Gianni Ghirri (al quale ho dedicato una poesia nell’ultimo libro).
Come ti dicevo sono molto radicato nel mio territorio e i miei riferimenti principali in prosa e in poesia sono Cesare Zavattini, Gianni Celati, Tonino Guerra (e tutti i Santarcangiolesi) e Antonio Delfini. Più in generale mi piacciono molto – fra i poeti della seconda metà del Novecento – Vittorio Sereni, Giovanni Raboni , Gìovanni Giudici. Fra i poeti attuali trovo molto interessanti Umberto Fiori, Lino Gabriel Del Sarto e Andrea De Alberti. Fra gli stranieri sono molto attratto dalla poesia polacca di Czeslaw Milosz, Wislawa Szymborska e Adam Zagajewski e da alcuni contemporanei poeti tedeschi come Hans Magnus Enzensberger, Michael Krueger, Durs Grünbein, e dall’olandese Cees Nooteboom.
Se poi mi chiedi chi mi ha veramente spettinato (se solo avessi i capelli) leggendolo, ti faccio due nomi: Giorgio Caproni e Pier Luigi Bacchini. Di Caproni non ti dico nulla, solamente che non si può non leggere, mentre sponsorizzo Bacchini, non tanto perchè è parmigiano, ma perché è un poeta importantissimo, che fra gli anni ’80 del secolo scorso e i primi anni 2000 ha segnato una strada nuova per la poesia italiana, a livello di linguaggio e di capacità di andare oltre lo sguardo, per porre le domande vere della poesia.
Per continuare la nostra chiacchierata mi piacerebbe ora chiederti se hai programmi futuri per la tua poesia, se stai pensando a una raccolta, se hai in mente un progetto di scrittura.
Buonanotte e un caloroso abbraccio,
Daniele
Caro Daniele,
Purtroppo non ho progetti di scrittura. Le poesie che ho scritto – poche – sono tutte nate dalla rabbia, o dalla tristezza, o ancora da una pacata gioia, ma sempre e comunque da una necessità improvvisa, non programmata e (credo) non programmabile. Quindi non credo che tenterò di scrivere una silloge. Ma chissà: forse, un giorno, tutto il caos che ho dentro smetterà di sfuggirmi e riuscirò a fermarmi, e scrivere un progetto unitario. Per ora, mi limiterò a riversarmi in versi sparsi e altri frammenti. Tu hai invece qualche progetto in corso?
Devo ammettere che la fotografia mi ha sempre affascinato, per la sua capacità di rendere immortali anche i momenti più fragili, e per la sua onestà e chiarezza (che come hai notato, sono caratteristiche per me fondamentali su tutti i piani, nell’arte quanto nella vita).
Grazie davvero per tutte le belle parole che hai dedicato alla mia poesia. Anche io ho apprezzato le tue, soprattutto “La banalità del traffico” (che davvero svetta su tutte le poesie che ho letto in questo mese) e “Riflessioni su una stanza d’albergo”, che di tanto in tanto vado a rileggere. Mi piace davvero molto la tua penna, la chiarezza della tua voce, quella nota di nostalgia che pende tra un verso l’altro.
Credo che ormai saremo quasi al limite dello spazio a nostra disposizione, e quindi ti faccio un’ultima domanda.
Abbiamo parlato di stile. Da lettore e da poeta, quali sono, secondo te, le peggiori piaghe della poesia di oggi? Cosa la rende ancora così lontana da molti? E quali sono invece i suoi pregi? Cosa continua a renderla così importante, fondamentale per la vita dell’essere umano?
Mi permetto di disturbarti ancora perché mi sono imbattuta in un bellissimo passaggio di Bazin sulla fotografia: “L’originalità della fotografia in rapporto alla pittura risiede dunque nella sua oggettività essenziale. Del resto, il gruppo di lenti che costituisce l’occhio fotografico sostituisce all’occhio umano si chiama appunto ‘l’obiettivo’. Per la prima volta, un’immagine del mondo esterno si forma autonomamente senza intervento creativo dell’uomo, secondo un determinismo rigoroso. La personalità del fotografo non entra in gioco che per la scelta, l’orientamento, la pedagogia del fenomeno; per quanto possa essere visibile nell’opera finita, essa non vi figura nello stesso titolo di quella del pittore. Tutte le arti sono fondate sulla presenza dell’uomo; solo nella fotografia ne godiamo l’assenza.”
Soprattutto l’ultima frase mi ha colpita. Quanta distanza si può allora avvertire tra fotografia e poesia! Entrambe sono forme d’arte sintetiche, ma non è forse raro trovare poesie in cui la mano dell’uomo si perda totalmente?
Un abbraccio,
Carla
Ciao Carla, ti ringrazio per la bella riflessione sulla fotografia che condivido e tengo cara, vengo da una famiglia di fotografi, mio nonno e mia madre erano fotografi professionisti, anche se non si sono mai occupati di fotografia artistica. Comunque il poeta non è in foto, ma la sua mano si vede sempre.
Volevo poi dirti che le poesie ci sono e prima o poi ti verrà voglia di farle leggere. Allora prenderà corpo un progetto. Anch’io per un po’ ho pensato di scrivere per me, poi poco alla volta mi sono accorto, frequentando altri poeti anche molto più importanti di me, che tutti – me compreso – scrivono perché vogliono essere letti.
Non so dirti dei miei progetti di scrittura. Sono sempre all’inizio molto fumosi, scrivo così nei ritagli di tempo, di solito scrivo sui libri che sto leggendo, perché un verso, una riga, una descrizione mi sollecitano a farlo. Poi raccolgo tutto in files disordinati. A questo punto dopo tempo, magari anche tanto, mi viene un’idea, un titolo, una suggestione e mi accorgo che quello che ho scritto in anni alla fine può essere ricomposto ad unità, che ho scritto una raccolta senza accorgermene.
Sul perché la poesia sia estranea a tante persone credo che la motivazione non sia unica. Prima di tutto trovo che non sia vero che la poesia sia indispensabile (ho scritto una cosa terribile?) nella vita degli uomini, tantissimi vivono senza averne mai letta una e possono egualmente avere un’esistenza piena e completa. In secondo luogo perché come dice Billy Collins in un libro bellissimo che si intitola “In vela, in solitaria, attorno alla stanza” nella lirica “Introduzione alla poesia” :
Ma la sola cosa che loro vogliono fare
è legarla con una corda a una sedia
e torturarla finché non confessi.
La picchiano con un tubo di gomma
per scoprire che cosa davvero vuol dire.
Voglio dire che a scuola la poesia la violentano, agli studenti viene chiesto di capirne il significato, non di appoggiare l’orecchio all’alveare dei versi e questo irrimediabilmente li allontana.
In terzo luogo rispondo insieme anche alla tua domanda su cosa non mi piace nella poesia odierna: spesso trovo che essa sia inutilmente oscura. Mi sembra che molti scrivano cose che capiscono solo loro. Certo tutti i nostri scritti nascono dalle nostre esperienze personali, dalle nostre conoscenze, ma a volte mi sembra che ci sia un quasi deliberato gusto nel rendersi incomprensibili. Se da una parte, come dicevo in precedenza, ritengo più importante abbandonarsi ai versi che farne la parafrasi, credo che il poeta debba infine riportare la sua scrittura a un minimo comune denominatore coi lettori, il poeta deve prendersi in solido con i lettori, ma direi con tutti gli altri individui, la responsabilità di tirare avanti il mondo.
Concludo, Carla, facendoti i migliori auguri di poter continuare a scrivere. Mi piace riportare qui cosa mi disse poco prima di morire un importante e molto anziano poeta parmigiano, Gian Carlo Artoni: “Non illuderti, scrivere poesie non è un passatempo”. Aveva ragione: diventa un modo di vedere il mondo, di interpretarlo. Allora sì, la poesia è indispensabile, ma solo per chi la scrive e per chi la legge. Grazie Carla per la bella conversazione, mi sono divertito e anche arricchito. Un abbraccio.
Daniele
Caro Daniele,
Grazie per questa mail.
Io credo che la poesia sia indispensabile, perché essa va al di là dei versi tradizionali: è nelle canzoni, nei miti, nelle storie. E sì: la poesia nelle scuole è violentata, e i poeti stessi violentano la poesia quando la strappano dalla comprensione dei lettori. Si scrive per essere letti, non lo nego. Ma essere letti senza essere capiti è una tragedia. Spero, in vita mia, di non scivolare mai nella sterile cripticità, insomma, di non scrivere mai solo per il mio ego.
Grazie a te per questo meraviglioso dialogo. Spero davvero che un giorno potremo incontrarci e magari condividere di nuovo dei versi.
Grazie ancora e un abbraccio,
Carla