L’oro bianco di Chio: come si sviluppa il panorama culturale di una società

Il folklore è un campo di studi sempre interessante, poiché ci permette di cogliere la vera essenza di un popolo. Qualsiasi tradizione, o leggenda, o rito deve essere percepito dalla comunità a cui appartiene come vicino, sentito, ancora vitale. Quando questo non accade più, semplicemente l’elemento folklorico muore, si disperde, e capita a volte che se ne perda memoria. 
Il folklore è un concetto leggermente diverso rispetto alla cultura; ne fa sicuramente parte, ma possiede di per sé delle caratteristiche che lo rendono ancora più unico e circoscritto. Il folklore, infatti, appartiene in particolare alle classi sociali più basse, quelle che solitamente non hanno accesso alla cultura scolastica. Questo insieme di persone sviluppa quindi il suo personalissimo patrimonio culturale, che purtroppo risulta spesso molto più evanescente e sfuggente. 
Quello che rende lo studio del folklore difficile è la natura delle fonti. Nella maggior parte dei casi bisogna infatti affidarsi a fonti orali, non scritte, spesso ottenute tramite una comunicazione e una partecipazione diretta. La natura di questo punto di partenza, molte volte fa sembrare il folklore una scienza poco seria, proprio perché è impossibile averne delle basi sicure e certe. Questo, però, non significa che esso non sia fondamentale per le comunità: partendo da piccoli mattoncini, si creano le fondamenta per il sistema di credenze dei popoli, che ne influenzeranno poi la vita. 
La mia breve ricerca si basa proprio su uno di questi mattoncini di base, che fanno le fondamenta di un gruppo umano e ne indirizzano tutta la crescita. 
In questo articolo e in quello che uscirà il mese prossimo cercherò di dare un ordine al folklore dell’Isola di Chio, e in particolare di 24 dei suoi villaggi: i Mastichochorià. È infatti affascinante notare come nel Sud dell’isola la storia degli uomini sia stata dettata da qualcosa di apparentemente minuscolo: la masticha. 
La masticha è una speciale resina in grado di trasformarsi in una varietà immensa di prodotti, viene estratta dall’albero di mastice e per molto tempo (fino ad oggi) è stata alla base dell’economia e della vita sociale dell’isola intera. La cosa fenomenale (e che forse rafforza ulteriormente il legame unico tra gli abitanti e questa pianta) è che la masticha cresce solo ed esclusivamente a Sud di Chio. Questa zona dell’isola ha un microclima ideale per il suo sviluppo e per la maturazione perfetta di questo “oro bianco”. 
Pernot Hubert, linguista studioso di greco moderno, riportò così la voce di chi aveva cercato di espandere il mercato coltivando la pianta miracolosa altrove:

Abbiamo tentato ogni cosa che ci fosse possibile, abbiamo trasportato le piante assieme ai coltivatori dal sud, ma abbiamo fallito. Abbiamo fatto altri tentativi a Rodi e Lesbo, ma abbiamo fallito anche lì. I chii, non sapendo chi ringraziare per questo miracolo speciale, lo attribuirono alla grazia di un santo: Sant’Isidoro, che era morto a Chio come martire.1  

I chii dunque già percepivano la masticha come sacra, tanto da ricondurla a un santo e alle sue lacrime versate durante il martirio. Le gocce di resina vengono chiamate infatti anche “lacrime di Isidoro”, proprio in virtù di questa credenza. In una cultura fortemente religiosa come poteva esserlo la Grecia di inizio ‘900, accogliere come miracolo di Dio la pianta della masticha significava darle un’importanza speciale e immetterla nella vita privata e comune come un simbolo sacro. 
Una pianta che diventa miracolo? Non c’è nulla di eccessivamente speciale in questo. La masticha per i Chii potrebbe essere paragonata al Sole, alla Luna e a tutti quegli elementi naturali che sono poi diventati divinità nei popoli più antichi. Essa, come il Sole e la Luna, era fortemente presente nella vita dei coltivatori: dava loro lavoro, sostentamento e, durante la dominazione turca, protezione. I coltivatori di masticha infatti erano stati risparmiati durante il Massacro di Chio del 1822, proprio in virtù della loro importanza economica. Non è assolutamente strano che gli abitanti dell’isola abbiano reso questa pianta divina. 
Nel 2016, nelle vicinanze di Pyrgy (uno dei principali Mastichochorià), è stato inaugurato il “Mastic Museum of Chios”, all’interno del quale è possibile fare un viaggio nella storia e nella lavorazione di questo prodotto, che ancora oggi sostenta 2000 famiglie circa. Il Museo possiede una vasta raccolta di testimonianze orali appartenenti a diverse epoche, raccolte sotto il nome di “Oral History Archive, Mastic Museum of Chios”. Qui viene descritta dalle persone intervistate una vita totalmente dedita alla masticha e alla sua produzione, che ha quindi dettato gli equilibri sociali di un’intera popolazione. 
La società nei Mastichochorià è infatti ben divisa tra uomini e donne: i primi si occupano del lavoro nel campo, le seconde della pulitura e raffinazione delle gemme di resina. 
Le donne, in particolare, si occupano di un processo che dura tutto l’anno e coinvolge ogni componente femminile delle famiglie, dalle bambine alle anziane, che passano tutte le loro giornate insieme. D’estate e d’inverno, gruppi di donne (anche di famiglie diverse) si riuniscono, parlano e cantano, e trascorrono il tempo insieme setacciando le lacrime di Chios. Passare tanto tempo insieme, condividendo lo stesso mestiere e lo stesso stile di vita, ha inevitabilmente creato un senso di cameratismo fra le donne di Chio. A esemplificare tutto questo, ecco una testimonianza esposta al Museo di Pyrgy: 

Avevamo buone amiche. A quei tempi le persone erano molto vicine fra loro. Di solito, stavamo in piedi tutta la notte per pulire le gemme di masticha, in gruppi di amiche. Diventammo camerate dai tempi in cui eravamo compagne di classe a scuola. Poi diventammo damigelle d’onore ciascuna ai matrimoni delle altre. Ci siamo sempre state vicine anche dopo il matrimonio. Incontro ancora le mie vecchie compagne, sono mie amiche. Una di loro vive in America, una in Australia ed un’altra è ad Atene. Ma quando tornano qui, ci incontriamo sempre: sai, non ci si dimentica mai di un amica.2

In queste parole potrebbe essere possibile addirittura sentire una certa vicinanza con Aristofane: nella Lisistrata, le donne più anziane raccontano la loro vita, tutta dedita alla città, scandita con precisione da vari riti di passaggio a cui le nobili ateniesi si sottoponevano. Essi erano tutti uniti da una cosa: l’amore per le tradizioni patrie. Anche a Chios, come in Aristofane, queste donne sono accomunate tutte dallo stesso “cursus honorum”. L’anziana nella sua testimonianza ricorda gli anni dell’infanzia, tra i banchi di scuola, fino al matrimonio e al trasferimento in terre lontane. Eppure, ogni tappa della vita è stata accompagnata da una cosa: la lavorazione della masticha. Questo lavoro ha legato indissolubilmente, come esperienza formante di vita, questo gruppo di donne e chissà quanti altri. 
Moltissimi sono gli elementi di identità culturale e di senso sociale nati e sviluppatisi a Chio a causa di una semplice pianta. Come un’edera che non può che crescere seguendo le movenze dell’albero a cui è attaccata, la società dei Mastichochorià è cresciuta intorno alla masticha, adattandosi a lei. Canzoni popolari, fiabe, storie, danze, persino l’urbanistica dei villaggi: tutto dipende dalla masticha.
Di tutto questo, però parleremo il mese prossimo: la ricerca deve andare avanti!

Laura

 1Pernot Hubert, En Pays Turc: L’ile de Chio, Parigi, 1903.Indietro

 2 Oral History Archive, Mastic Museum of Chios.Indietro

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