L’essere umano è per sua natura violento, secondo Hobbes, nella sua opera principale, il Leviatano. Attraverso questo massiccio libro, il filosofo sostenne che la cupidigia, l’avidità e l’istinto di sopravvivenza intrinseco nell’essere umano siano la causa che ha indirizzato la storia verso direzioni catastrofiche. Le guerre per la supremazia territoriale, politica ed economica che hanno contaminato l’intera esistenza dell’uomo sulla terra furono provocate proprio a causa di questa innata vocazione alla violenza da parte dell’uomo.
La parentesi fascista in Italia fu un grande colpo per la nostra nazione, che si trovò assoggettata dalla figura di un gerarca autoritario che seppe sfruttare al meglio le disastrose condizioni in cui l’Italia riversava, per piantare le radici di quel regime che sarebbe poi durato un ventennio.
I semi gettati dalle mani del Gran Consiglio Fascista e dalla propria propaganda trovarono un terreno fertile e dissodato in una nazione dove l’istruzione media dei cittadini non superava la terza elementare e dove la povertà aveva ormai pervaso la maggioranza degli ambienti. Queste ragioni rendono solo in parte comprensibili le azioni compiute dagli italiani nel corso della prima metà del ‘900. La loro vita privata era strettamente connessa alla vita politica e convergevano nelle medesima direzione: la propaganda era infatti riuscita a pervadere ogni spazio della vita dei suoi cittadini, favorendo così di parecchio una buona predisposizione da parte degli italiani che spalancò del tutto le chiavi della nazione al fascismo.
Giunti alla caduta del Regime, il 25 aprile 1945, si aprì una nuova pagina della storia italiana, quella del dopoguerra e del referendum istituzionale che avrebbe deciso le sorti politiche nel nostro Paese: restare una monarchia o diventare una Repubblica.
Nell’arco di tempo compreso tra la caduta del fascismo e le elezioni del 2 giugno 1946, la situazione, tuttavia, era del tutto degenerata in un’aperta caccia al fascista che portò, secondo lo storico e giornalista Giorgio Pisanò, nel solo Piemonte all’uccisione di 8 mila uomini. Tale persecuzione altro non era che la vendetta per le violenze subite, nonché il riscatto morale delle sinistre italiane che erano finalmente tornate allo scoperto dopo un ventennio di segregazione negli angoli più occulti del Paese per salvarsi dalle camicie nere.
Tuttavia tale instabilità politica rischiava di far eleggere le sinistre alle elezioni che sarebbero state indette da lì a poco, e questa non poteva essere un’opzione contemplabile per Washington. Il governo americano aveva tutti gli interessi nell’appoggiare le destre in Italia, per evitare che quest’ultima finisse sotto l’influenza moscovita e, per questa ragione, vennero agevolati in ogni modo gli ex fascisti, proprio per evitare che lo squilibrio politico tendesse verso il comunismo, e quindi verso la Russia.
Di diversa opinione però erano gli ex partigiani e tutti quei cittadini che scesero nelle strade alla ricerca dei loro ex persecutori. Sin dal giorno della Liberazione avvenne infatti un rastrellamento contrario a quello che si era verificato negli anni precedenti: una vera e propria persecuzione ai fascisti. Ci furono così decine di migliaia di arresti, moltissimi omicidi ed episodi di violenza che acuirono sempre di più le tensioni sociali già messe per lungo tempo alla prova.
Tale accanimento si abbatté su uomini, donne, ragazzi, vecchi, e su chiunque fosse stato colluso strettamente al fascismo; alle donne venivano rasati i capelli a zero come gesto di estrema umiliazione, mentre agli uomini venivano riservati atti cruenti senza remore né parvenza di umanità. Uno dei casi più controversi e discussi fu quello di un generale sardo che, una volta arrestato, venne fatto sfilare nudo dentro una gabbia per le vie città scortato da un corteo di partigiani esultanti.
La rabbia, la frustrazione e l’inumanità che si era manifestata in tutto lo Stivale fino a qualche mese prima, ora riversava nelle piazze reclamando quella giustizia che avevano auspicato durante l’intero svolgimento del conflitto. Si chiedeva a gran voce una severa punizione per gli ex fascisti, che fecero di tutto per occultare le prove del proprio passato e per affrancarsi dalle sue negligenze e falli, migrando in una nuova identità che potesse permettere loro un riscatto sociale e, soprattutto, morale.
Le barbarie consumate in Italia non finirono subito con il fascismo, ma l’odio che questo aveva seminato ebbe i propri frutti. La guerra civile aveva del tutto inaridito il cuore e l’anima degli uomini, lacerati e logori come la maggior parte delle città del centro nord. La mentalità guerriera inculcata dal regime ormai era diventata la prassi per chiunque dopo 20 anni. La polvere da sparo aveva riempito gli occhi di un’intera nazione facendoli bruciare di rabbia e di rancore.
Queste furono le premesse che accompagnarono gli albori della nuova nazione: uno strato sociale lacerato da conflitti politico-sociali e contrito dal senso di colpa che attanagliava gran parte dei cittadini che componeva uno stato ridotto in macerie e pieno di debiti. A tentare un rinsaldamento dell’apparato statale, nonché di cauterizzare tale squarcio tra i cittadini fu, paradossalmente, il segretario del Partito Comunista Palmiro Togliatti. Dal momento che la maggior parte degli italiani (e non solo) avevano avuto fin troppe simpatie per il fascismo – e quindi non si sarebbe potuto processare un numero così alto di persone – l’allora Ministro della Giustizia concesse l’amnistia ai fascisti il 22 giugno 1946, dove ridusse le pene dei sospettati di collusione al fascismo o le estinse nei casi meno eclatanti. Fu un modo per ripartire, per far tabula rasa del passato e costruire le fondamenta di un nuovo impianto sociale retto da un sistema pluripartitico e democratico.
Ce la fece davvero? Non si può dire con certezza, ma quel che è certo è che l’odio coltivato dal Regime mantenne salde le proprie radici per il corso dell’intero ‘900, e anche tutt’ora sopravvive in forme più mimetizzate, e per questo dobbiamo ricordare che non è necessario dichiararsi fascisti per esserlo: la violenza è il metodo naturale per prevalere sul prossimo, quello utilizzato allo stato di Natura di Hobbes e Locke, ma l’essere umano ha il dovere di superare questa visione obsoleta e animalesca, che induce solamente alla tragedia e alla devastazione.
Guardatevi dall’uomo nero.
Dario