Settembre 2021
Valeria (da qui in avanti, V) – Eccoti. Soltanto con un giorno di ritardo.
Simone (da qui in avanti, S) – Per cosa ritardo?
V – Non ricordi che giorno era ieri?
S – Il compleanno del tuo gatto? No, quello è il sei aprile. Del tuo ragazzo? No, il quindici febbraio.
V – Male male.
S – Guarda che, i veri auguratori professionali, gli auguri li fanno solo agli onomastici.
V – Stavolta nemmeno Santa Valeria ti perdonerebbe.
S – Non ho bisogno di essere perdonato da una che chiama i figli Gervasio e Protasio.
V – Cioè, ti ricordi i figli di Santa Valeria ma non il compleanno della tua amica? Allora è Parkinson selettivo, mi sa.
S – Sì, sto selezionando un po’ di persone.
V – Di amiche per caso?
S – Dipende che intendi per amico.
V – Mica vorrai ricominciare! Pensavo che ci fossimo chiariti: non ti ho messo da parte. Solo che quel concorso era fondamentale.
S – Cinque minuti per parlare ogni tanto o mangiarci delle fragole davanti al mare durante la pausa pranzo, ti avrebbero impedito di prepararlo?
V – E allora dieci secondi per farmi gli auguri?
S – Quella è stata solo la reazione ai tuoi rifiuti. Io dieci secondi per te li ho sempre trovati.
V – E io no, giusto! Prima mi hai chiesto cosa intendo per ‘amico’: amico è uno che non ti fa sentire in colpa.
S – Io almeno ti faccio sentire qualcosa; tu sono mesi che mi fai sentire invisibile. Sono stato sospeso dal lavoro e tu non c’eri.
V – Se non ci stavo, non ti viene in mente che non eri tu quello invisibile, ma io? Che, in quel periodo, volevo scomparire?
S – Io so solo che da un giorno all’altro sei realmente scomparsa.
V – Ma non per te, per tutti!
S – In biblioteca non sembravi tanto scomparsa. Stavi sempre al tavolo al centro; accanto a quel belloccio, tra l’altro.
V – Quello perché da lì si studia meglio, e poi che fai, mi spii?
S – Ogni tanto prendo un libro, non posso? E non chiedermi perché non ti ho salutata perché, quando l’ho fatto, non ti sei vista che faccia!
V – Guarda, sei proprio uno scrittore.
S – Dovevi vederla, la tua smorfia. E non di sorpresa, ma di fastidio. Sai che diceva quella smorfia?
V – Vedo che ho smorfie che parlano pure! Bene!
S – Non lo vuoi sapere che diceva?
V – No, anche perché non sei un esperto e sinceramente non mi conosci abbastanza.
S – Perché non me l’hai permesso.
V – Oggi come oggi ne sono contenta, altrimenti avresti iniziato a interpretare ogni mio gesto.
S – Succede così quando una non ti parla: i suoi pensieri li devi interpretare dai gesti.
V – Tu prima non eri così…
S – Dici prima di conoscerti?
V – No, all’inizio.
S – All’inizio avevo davanti un’altra persona curiosa. Mi chiedevi se pensavo a Daniela. Se ti mandavo altre foto da Istanbul. Ultimamente non mi hai domandato nemmeno se mi sono lasciato.
V – Aspettavo che me lo dicessi tu.
S – Io parlo se c’è l’ interesse dell’altro.
V – Io il contrario. Se vedo troppo interesse, non parlo più. Non sono io che mi sono fatta sentire di meno, sei tu che ti sei fatto sentire troppo. Mettiamo le cose in un ordine cronologico.
S – Non capisco. Dici che siamo amici e poi non mi devo far sentire?
V – Una cosa è sentire, un’ altra inviare tutti i giorni una foto, un video, una poesia.
S – Scusa se “Valeria” rimava con “seria”. Forse era meglio con “cattiveria”,
V – Addirittura! Mica mi diventi permaloso, dopo che sei stato tu a sollecitarmi a parlare…
S – Dovevi parlare prima.
V – Prima quando?
S – Prima che mi facessi credere che ti faceva piacere.
V – All’inizio, sinceramente, mi faceva piacere, un amico che ti scrive una poesia. Ma non tremila!
S – Quindi, da un certo punto in poi, ti sei annoiata. Potrei sapere da quando?
V – Ascolta, non lo so. Non son cose che succedono di colpo. Diciamo da quando ho iniziato col concorso.
S – Giusto, il famoso concorso! Il problema è che l’hai dato venti giorni fa e però non mi hai mai scritto da allora,
V – Io non sono un interruttore che si accende e si spegne così. Sto ancora in modalità concorso anche se l’ho dato e temo che resterò così finché non pubblicano il risultato.
S – Questo non mi sembra molto sano.
V – Io almeno sto in tensione perché aspetto il risultato di un concorso da notaio che è tutta la mia vita, non il messaggino di un amica.
S – Scusa.
V – Scusa di cosa?
S – Era ironico. Scusa di averti dato tanta importanza quando chiunque altro ti avrebbe…
V – Mi avrebbe…?
S – Sfanculata.
V – Come espressione preferirei “congedata”.
S – E io, come amica, preferirei la Valeria di prima.
V – Vorrei conoscerla. Quale sarebbe quest’altra Valeria?
S – Quella che quando le organizzavo una mostra e doveva solo parlare col curatore per definire la disposizione e le date, ci andava entusiasta, senza mandare tutto all’aria. Quella che non si inventava cefalee, dolori intestinali, allergie stagionali e non so che altro per rimandare ogni appuntamento. Quella che non metteva l’alert a un’ora dall’incontro per incastrarlo con un altro, Quella che, se mi voleva regalare un suo quadro, poi non rimaneva tutto sospeso per mesi in attesa dell’imprimatur del suo ragazzo. Ma che l’aveva dipinto lui?
V – Si dà il caso che la casa gli appartenga ed era attaccato sul muro del suo studio. Non dovevo chiederglielo?
S – Secondo me, lui non c’entra niente, visto che è un regalo.
V – Comunque, a proposito del quadro, io invece non capisco perché mi hai detto non so quante volte che gli avresti messo una cornice di ciliegio, intonata col colore delle foglie e tutto il resto, se invece c’è sempre la stessa di plastica.
S – Io almeno me lo sono attaccato sopra il letto, non come te che lasci i miei romanzi nel cesso.
V – Intanto l’avevo solo poggiato e poi, per favore, bagno, ti prego, massimo gabinetto, se non altro perché ha un profumo migliore della tua camera da letto
S – E questo cosa c’entra?
V – E allora che c’entrano il quadro e il mio ragazzo?
S – Era solo un esempio all’interno di un discorso più articolato
V – Infatti, vedo che ti eri preparato un vero e proprio j’accuse. Siamo alla resa dei conti?
S – La mia, più che altro, è una resa. Mi arrendo
Silenzio
S – Allora come restiamo?
V – La finiamo qui?
S – ‘Qui’ intendi da te o da me?
V – ‘Qui’, avverbio di luogo.
S – Appunto, non avverbio di tempo. Dovevi dire ‘adesso’. A proposito, dove ti trovi tu adesso?
V – In bagno.
S – Giusto, tu mi leggi e mi ascolti in bagno.
V – Ah ah ah! Facciamo che lasciamo passare del tempo e ci risentiamo tra un po’?
S – Dici tra qualche giorno?
V– Pensavo un paio di mesi.
S – Che te ne pare di tre settimane?
V – E’ che preferivo dopo l’orale
S – Tre settimane erano un compromesso onesto.
V – Compromesso: contratto preliminare di compravendita… Anche questa parola mi fa pensare all’orale.
S – Tanto per cambiare. Sono sicuro che, se ci vediamo e non passi, poi pensi che ti ho portato male.
V – Cerca di capire pure me.
Silenzio
S – A questo punto meglio se facciamo tra trent’anni.
V – Cosa?
S – Perché non rivederci direttamente tra trent’anni?
V – Per me va bene, ma ricorda che ne hai già cinquanta, non allargarti.
Continua…
Simone Consorti